La questione “cellulare sì, cellulare no” a scuola è ormai ciclica. Complici le continue uscite di linee guida, indicazioni e orientamenti che, dal lontano 2007, con il divieto del Ministro Fioroni – quando avevamo a che fare solo con semplici telefonini e non smartphone! – ci educano a una corretta gestione di uno strumento in continua evoluzione. E sulle cui conseguenze cognitive e comportamentali sappiamo ancora molto poco.
Divieto contro uso consapevole, contro la cosiddetta “transizione digitale”, un’ espressione-chiave proprio del PNRR. L’aspetto più curioso di questo argomento all’interno dei documenti ministeriali è che si è sempre parlato di integrazione senza considerare le sue tante e varie tipologie che il cellulare porta con sé.
Non mi riferisco solo quindi all’integrazione nella didattica, ma all’integrazione nella propria identità, nel modo di comunicare, di relazionarsi con gli altri e così via. Senza dimenticare che questo strumento non è più lo stesso di dieci anni fa.
E che le nuove generazioni, Generazione Z (1996-2010 circa) e Alpha (dal 2010 in poi), per quanto abbiano vissuto la pre-adolescenza già a contatto con i dispositivi digitali, non ne sono automaticamente alfabetizzati. Per questo, direte voi, esiste la scuola. Che può mettere ordine e dare regole. Se fosse davvero così, se la scuola fosse l’unica responsabile di questo enorme lavoro educativo, non saremmo ancora qui a discuterne. O sbaglio?
La scuola ha fatto il suo. Se guardiamo al passato, non potendo ignorare la crescente avanzata del digitale nel contesto educativo, la Ministra Stefania Giannini, nel 2015, presentò il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), che comprendeva, con l’Azione #6, le Linee guida per politiche attive di BYOD (Bring Your Own Device), ossia «politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato con la didattica». Non tutti l’hanno presa bene.
Portare a scuola il proprio cellulare significava sì coltivare una familiarità tecnologica più strutturata, ma anche avere a che fare, per esempio, con nuove distrazioni, gestione di dati personali, cyberbullismo ecc. Così, nel 2018, è stato reso pubblico un decalogo del PNSD, i Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola BYOD, dove la didattica digitale prendeva forma, ancora ignara dei cambiamenti rivoluzionari che l’avrebbero travolta durante la pandemia da Covid-19, dove il cellulare è diventato lo strumento principale per apprendere e coltivare i rapporti.
Perché dopo tutti questi anni di grande entusiasmo nei confronti della tecnologia, dopo gli obiettivi del PNRR, dopo l’avanguardia dell’Intelligenza Artificiale, ci siamo accorti che noi adulti, tra una normativa e l’altra, forse non siamo riusciti a creare un sentiero sicuro per essere cittadini digitali fuori e dentro l’aula. Abbiamo vissuto infatti tra un binario e l’altro: quello che demonizza in modo assolutistico le macchine; quello che inneggia all’evoluzione, che ci farà bene e ci porterà lontano.
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, già a partire dal 2022, anno del suo inserimento, promuove una linea ben precisa. E con la sua prima Circolare riprende ciò che era già stato stabilito dallo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998 e dalla Circolare ministeriale n. 30 del 2007.
Intanto rimarca il discorso dei confini, a questo punto poco ovvi, su ciò che riguarda l’apprendimento: a scuola si va per imparare, e «distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo».
Poi pone l’attenzione sulla mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza. Con la Circolare del 2022, dunque, si chiarisce il non-divieto dei cellulari con una condivisione di indicazioni per gestire al meglio il tutto: «non introduciamo sanzioni disciplinari, ci richiamiamo al senso di responsabilità», si legge. «Invitiamo peraltro le scuole a garantire il rispetto delle norme in vigore e a promuovere, se necessario, più stringenti integrazioni dei regolamenti e dei Patti di corresponsabilità educativa, per impedire nei fatti l’utilizzo improprio di questi dispositivi».
Quali sono le novità della Circolare pubblicata l’11 luglio 2024? Stop ai cellulari dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di primo grado anche a scopo didattico a partire da settembre 2024, «salvo i casi in cui siano previsti da PEI e PDP».
Il digitale, dunque, non sparisce del tutto, ma viene ridimensionato, stavolta, con un divieto. E forse era ora, visto che a nessuno sembra interessare davvero della consapevolezza digitale di giovanissimi e giovanissime. A conferma di questa decisione drastica, nel documento ministeriale Valditara riporta importanti studi internazionali, che confermano la relazione tra uso del telefono, anche a scopo didattico, e apprendimento. Troviamo infatti il rapporto UNESCO Global education monitoring report 2023: technology in education. A tool on whose terms?, il volume II del rapporto OCSE PISA del 2022 Learning during and from disruption e infine il noto Digcomp 2.2.
Si fa leva anche sul rapporto con il digitale (non mediato, non regolamentato) e processi cognitivi compromessi, ma anche isolamento e dipendenze. Non a caso, Valditara sfrutta l’ambivalenza del significato di hikikomori, inteso, erroneamente, come un isolamento a causa del digitale. «Recenti analisi», si legge, «hanno dimostrato un aumento preoccupante anche in Italia di minori affetti alla sindrome dell’Hikikomori, il fenomeno dell’isolamento sociale volontario che comporta il ritiro dei giovani nel chiuso delle proprie case rinunciando ai rapporti con il mondo esterno».
Per quanto la persona hikikomori sviluppi una «crescente difficoltà e demotivazione nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa», si legge sul portale della rete nazionale Hikikomori Italia, «la dipendenza da Internet rappresenta una possibile conseguenza dell’isolamento, non una causa». Strategie di comunicazione a parte, il messaggio della Circolare è chiarissimo.
Visto che non siamo riusciti, noi adulti, a dare forma a un senso di responsabilità condiviso rispetto alle tante dimensioni che il cellulare attiva (identitaria in primis, sociale, emotiva ecc.), adesso, in una fascia precisa di età, ci si aspetta miglioramenti vietandone l’uso. E non è un atteggiamento da tecno-scettici. Mi suona più come l’ultima ruota del carro. I dubbi, però, sono ancora tanti. Stiamo promuovendo una corretta transizione digitale in questo modo? Quanto vogliamo lasciare fuori la vita, la realtà, dalla scuola? Quanto la scuola, intesa come regole, ordine, linee guida, dalla vita? Cosa possono fare le famiglie per migliorare questa integrazione?