Affacciata sull'orlo del baratro, nel 1943 l'Italia era un Paese spaccato a metà. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 infatti, il Re e il Governo presieduto dal generale Badoglio avevano formalmente presentano la resa incondizionata agli Alleati sbarcati a Sud, lasciando però un intero popolo senza indicazioni chiare e alla mercé di un ex-alleato, l'esercito tedesco, che però occupava ancora due terzi della nazione e non intendeva certo cedere il passo alle truppe anglo-americane.
Fu così che buona parte degli italiani si trovò di fronte a una scelta decisiva: continuare a sostenere l'alleato tedesco e Mussolini, liberato dalla prigionia e messo da Hitler a capo dello Stato fantoccio Repubblica di Salò, o lottare per scacciare l'invasore e cambiare il futuro del Paese. Nel numero 175 di Focus Storia Simone Cosimelli ha dunque ripercorso quei 20 tragici mesi di combattimenti, attentati e ritorsioni che portarono alla Liberazione del 1945 e un riscatto agli occhi del mondo e degli stessi italiani.
Una vera guerra civile
Dalla creazione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che raccoglieva tutti gli oppositori al nazifascisimo, indipendentemente dal colore politico di appartenenza, la lotta partigiana assunse subito non solo i tratti di una guerra di liberazione contro un nemico straniero (i nazisti), ma anche di uno «scontro sociale» tra coloro che avevano abbracciato la causa dell'antifascismo contro coloro che per i motivi più disparati (avversione al socialismo, fanatismo, o talvolta semplice volontà di non sentirsi un traditore) avevano invece deciso di schierarsi con i tedeschi. In mezzo, naturalmente, una folta schiera di indifferenti - o apparentemente tali - che però dovettero ben presto capire da che parte stare.
Il ruolo dei civili
Se infatti i partigiani che fuggivano in montagna e imbracciavano i fucili erano i primi a rischiare la pelle, anche la popolazione civile diede una forte mano alla Resistenza, accogliendo e nascondendo i combattenti o le loro armi, e guardandosi bene dal rivelare qualsiasi informazione utile al nemico nazista. Può sembrare poco, ma questo rese molto più complicata l'occupazione da parte dell'esercito tedesco, il quale capiva benissimo di trovarsi in un territorio ostile dove dietro ogni angolo poteva nascondersi un pericolo o un attentatore.
Naturalmente non mancavano anche i sostenitori del regime e i delatori, tanto che la contrapposizione tra le due fazioni ancora oggi continua a infiammare il dibattito politico intorno al valore della Resistenza e della lotta partigiana.
Il valore militare della Resistenza
Proprio sull'effettivo contributo offerto dai partigiani ai fini della sconfitta del nazifascismo spesso vengono sollevate alcune questioni: gli attentati e le guerriglie partigiane furono davvero utili o servirono solo a esacerbare il clima di tensione? A questa domanda ha risposto Mimmo Franzinelli, saggista ed autore di diversi testi sulla Liberazione: «Il contributo militare della Resistenza italiana è stato significativo, tant’è che l’apparato bellico della RSI dovette impegnarsi esclusivamente contro il partigianato - spiega Franzinelli - A sua volta, poi, anche l’apparato bellico tedesco fu costretto a presidiare costantemente il territorio con un forte dispiegamento di uomini, proprio nel timore di agguati partigiani. Considerevole, inoltre, fu il contributo fornito dai partigiani agli Alleati. Vennero raccolte informazioni preziosissime sui nazisti (dai flussi di merci verso la Germania ai movimenti delle truppe in Italia) che poi, una volta passate ai servizi segreti angloamericani, furono utilizzate nell’ambito del conflitto».
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Questo articolo è tratto da Focus Storia 175 (maggio 2021) disponibile in formato digitale.