Il 1° marzo si celebra la Giornata Zero Discriminazione (o più semplicemente Giornata contro la discriminazione), lanciata nel 2014 dal Programma Onu per l'Aids/Hiv con lo scopo ribadire con forza l'uguaglianza tra i popoli e il rispetto per ogni essere umano, indifferentemente dall'etnia, genere o orientamento sessuale.
In occasione di questo appuntamento può essere interessante riscoprire e approfondire in classe le storie di quei personaggi diventati il simbolo della lotta al razzismo e all'oppressione. Nel numero 138 di Focus Storia, si ripercorre il "grande rifiuto" di Rosa Parks, la donna di colore che, ancora prima di Martin Luther King e del grande movimento per i diritti civili, decise che era ora di dire basta alla discriminazione.
La storia di Rosa Parks
Siamo a metà del Novecento: gli Stati Uniti ospitavano una numerosa popolazione di neri liberi (la schiavitù fu abolita nel 1865) che però nel Sud del Paese non godevano degli stessi diritti dei bianchi. Negli stati segregazionisti infatti, le leggi razziste passati alla storia come Jim Crow Laws ("Jim Crow" era un nominignolo dispregiativo usato per la popolazione nera) impedivano agli afroamericani di frequentare le stesse scuole dei bianchi, di entrare nei stessi locali pubblici e perfino di votare.
Proprio in uno di questi Stati, a Montgomery, capitale dell'Alabama, il 1° dicembre 1955 la quarantaduenne Rosa Parks, già impegnata nell'attivismo politico per i diritti civili, decise che non avrebbe ceduto il posto sul bus a un uomo bianco, solo per il colore della sua pelle. Da quel piccolo gesto, nacque l'ondata di proteste che portò finalmente tutti gli stati ad abolire ogni forma di disuguaglianza legislativa.
«Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro [...]. No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire». (Rosa Parks)
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