“Il bisogno primario di questi bambini e ragazzi è essere nello sguardo di chi se ne sta prendendo cura, essere nello sguardo dell'adulto”. Parola di Stefano Rossi, psicopedagogista tra i più noti in Italia, che di “ragazzini difficili” ne ha incontrati e aiutati tantissimi da quando, poco più che ventenne, decise di lavorare con loro in contesti di forte marginalità e devianza. Il suo ultimo libro, Mio figlio è un casino, edito da Feltrinelli, è un delizioso e commovente manuale su come gestire alunni e figli in mezzo alla tempesta.
L'educatore-sceriffo e l'educatore-zucchero filato
“Questo libro nasce con un sogno - racconta l'autore -. Il sogno di provare a ricucire il cielo che da troppo tempo si è spezzato tra scuola e famiglia. Oggi è naufragato il sistema di valori e la verticalità che in passato contraddistingueva le figure educative. Ci siamo trovati tutti di fronte a una libertà senza limiti pagando però uno scotto terribile, la perdita complessiva del senso. In questo naufragio scuola e famiglia si aggrappano a idoli differenti: per la scuola l'idolo dell'educatore-sceriffo e a casa l'idolo dell'educatore-zucchero filato. In fondo sono due tentativi di recuperare autorevolezza nel tempo della crisi dell'autorevolezza. Il genitore-zucchero filato non comprende che le regole sono un dono d'amore e somministra al figlio questa dieta iper-zuccherina del solo sì. Quando deve dare il giusto no si sbriciola perché sente di venir meno all'unica cosa che riteneva oggi di poter dare al figlio, la felicità. Ma il bambino senza regole diventerà un adolescente angosciato perché le regole ci insegnano a governare le nostre emozioni.
Di contro, l'insegnante che eredita una serie di bambini e ragazzi senza regole e quindi angosciati, comprensibilmente compie una torsione opposta: si affida all'idolo dello sceriffo, pensando che basti dare le regole per educare le nuove generazioni. Allora io nel libro provo a fare una sintesi nella quale possano convergere sia i genitori che gli insegnanti, e la sintesi è quella del porto sicuro. L'adulto-porto sicuro sa unire l'autorevolezza con l'amorevolezza. Occorre tenere insieme queste due dimensioni. Significa comprendere che le regole, a casa come a scuola, sono un dono, ma sono note musicali che noi dobbiamo scrivere su uno spartito d'amore”.
La pedagogia della cura
Di fronte ai comportamenti oppostitivi e provocatori dei bambini pestiferi, la pedagogia della frusta non funziona affatto, ammonisce Stefano Rossi. Il mondo è cambiato e anche i docenti devono cambiare. “Alcuni propongono l'idea che la scuola debba tornare in questo periodo di naufragio alla verticalità disciplinare del pulpito. Ma il problema è che il pulpito, la pedana dalla quale insegnavamo 20 anni fa, è evaporato e non solo nella scuola. Tutto il mondo è liquido.
Gli insegnanti devono elaborare il lutto per la morte del pulpito andando alla ricerca di una nuova autorevolezza, una nuova pedagogia che potremmo chiamare la pedagogia della cura. Che cosa vuol dire essere un porto sicuro? Significa essere colui che rimane, mentre spesso le figure educative non sanno fermarsi accanto ai bambini e ai ragazzi. L'adulto-porto sicuro è l'adulto che sicuramente dona la regole ma prima fa sentire ai bambini e ai ragazzi in classe di voler restare con loro”.
Oggi a scuola non si fa che parlare di empatia, c'è quasi un'iper-attenzione verso l'emotività e il mondo interiore. Eppure molto spesso bambini e ragazzi lamentano una totale assenza di empatia da parte dei docenti. Non è un paradosso? “La tesi che condivido in maniera molto schietta con i docenti è che oggi fare l'insegnante non è un mestiere per tutti. Il mondo verticale in cui siamo cresciuti era un mondo ordinato. Avevi la presenza del genitore a casa e l'insegnante si occupava del libro di testo. Oggi i docenti devono capire, in tutti gli ordini di scuola, che fare l'insegnante è un compito d'amore perché i bambini e i ragazzi vivono in un mondo che trema e i dati che abbiamo sulla salute mentale degli adolescenti non sono confortanti. L'insegnante deve comprendere che a breve per spiegare il libro ci sarà un Avatar. Non è quello il suo compito. Il compito dell'insegnante è prendersi cura”.
Educazione emotiva: costruire una relazione-porto sicuro
Come? Nel suo libro Stefano Rossi fornice una serie di coordinate e tanti ottimi consigli... “La prima coordinata è l'amore: io tengo a te. Questa non è una tecnica educativa, è una consapevolezza di ruolo. Se tu riscaldi il cuore, la mente si apre. Seconda coordinata, l'incoraggiamento: io credo in te, anche se tu fai fatica a crederci. Terza coordinata, il riparo: per quello che posso, non essendo un amico né un genitore né un assistente sociale, io però se vuoi ci sono per te. Quarta coordinata, il sorriso: fondamentale per costruire una relazione-porto sicuro.
Vi divertite un pochino con i vostri ragazzi? Sappiamo che le situazioni difficili sono tante ma quando tu sorridi, quando tu fai sentire alla tua classe che vuoi stare lì con loro e non è un ripiego, dispieghi contemporaneamente tutte le coordinate del porto sicuro. Il tuo sorriso dice: tengo a te, credo in te, ti offro riparo se ne hai bisogno. È fondamentale creare in classe una relazione-porto sicuro e non la potete delegare allo psicologo che fa la conferenza sul bullismo o all'educatore che fa il progetto sull'affettività. Voi siete gli unici che possono creare questa relazione, perché la relazione richiede tempo. L'affettività non è un intralcio da togliere alla lezione. Usiamo un'immagine molto semplice, quella dell'altalena. Se l'ansia sale si abbassa in maniera speculare il circuito dell'apprendimento. Lo sappiamo tutti che quando siamo in ansia o arrabbiati per qualcosa non riusciamo a concentrarci. Non servono neppure le neuroscienze”.
Insomma, costruire una relazione con i propri alunni è la pre-condizione per poter insegnare loro qualsiasi cosa. L'obiezione di molti insegnanti, comprensibilmente, è che questa educazione emotiva è un'ulteriore aggravio, una fatica in più... Ecco come risponde Stefano Rossi: “Guardate che la gestione delle emozioni non è qualcosa che si aggiunge al vostro ruolo, è una parte essenziale del vostro ruolo. Le emozioni incandescenti ci sono già a scuola. O sai come gestirle, come trasformarle in alleate oppure ti incendiano la classe. Oggi per accendere il sapere devi saper maneggiare le emozioni che hai in classe. Immaginate la mente dei vostri bambini e ragazzi come un bellissimo veliero in cui ci sono due componenti: il timoniere, che è il cervello che pensa, e le grandi vele, che sono il cervello che sente. Queste due dimensioni valgono anche in classe... Se come docente ignori la dimensione emotiva queste emozioni proliferano nel buio, come diceva Sigmund Freud, e poi si manifestano o come nebbia (apatia, disattenzione) o come tempesta (problemi comportamentali)”.
La rabbia: gestire le classi-tempesta
E quando in classe scoppia la bufera? Quando il solito alunno “oppositivo” ha una crisi d'ira e ci impedisce di fare lezione? Che fare? “Da anni cerco con i miei libri di offrire strumenti agli insegnanti e ai genitori per aiutare i bambini a trasformare i sassi in parole - risponde Rossi -. Perché molti bambini e ragazzi, al di là delle normali fatiche dell'adolescenza, arrivano in classe con il cuore pieno di sassi. E cosa fai se hai il cuore pieno di sassi? O li scagli fuori di te e la sassaiola colpisce l'insegnante. Oppure colpisci te stesso. E allora abbiamo le classi-tempesta, dove effettivamente ci sono emozioni che perdono regolazione, e le classi-nebbia di cui si parla pochissimo: classi spente, classi fantasma. Il lavoro sulle emozioni che propongo nel testo ha l'obiettivo di alfabetizzare i ragazzi (e insieme a loro noi adulti) sul funzionamento e la logica delle emozioni”.
Quando scoppia la crisi in classe Stefano Rossi propone di usare tre passi, molto semplici, con una premessa. “La premessa è la lettura del problema. I bambini e i ragazzi non sono il cane di Pavlov. Purtroppo oggi nella scuola si sta diffondendo la pedagogia comportamentale che riduce il bambino o il ragazzo a quel comportamento problematico. Invece noi dobbiamo avere una lettura emotivamente intelligente, capire che dietro il comportamento tempesta c'è il timoniere che ha perso il controllo delle vele emotive. Se questa è la nostra lettura, cioè la perdita di regolazione emotiva, il mio obiettivo di insegnante non è quello di reprimere le emozioni ma di aiutare il timoniere a riprendere il controllo. Facciamo un esempio pratico: entri in classe dopo l'intervallo, stai per spiegare il complemento di tempo ma Luca esplode con rabbia, se la prende con il compagno, gli urla addosso delle parolacce, lancia per terra l'astuccio.
Passo numero 1: tenetevi in mente l'immagine del veliero. La prima cosa che dovete fare non è, come fate di solito, parlare al timoniere. Dovete parlare alle vele delle emozioni, perché il timoniere in questo momento dentro la mente di Luca è stato buttato in acqua. E come si parla alle vele delle emozioni? Nel caso dell'emozione della rabbia bisogna naturalmente mettere un argine: Luca, non posso accettare un comportamento violento, però mi aiuti a capire che cosa è successo? Sembra una domanda banale ma è profondissima. Io lo sto invitando a mettere in parola quello che altrimenti lui mette dentro i comportamenti aggressivi. Fondamentale in questo primo passo non è solo cosa diciamo ma come lo diciamo, perché è più potente. Io in classe avanzo, con uno sguardo non da serial killer ma da porto sicuro, che fa sentire a Luca: tengo a te, credo in te, ci sono per te. Luca magari ancora arrabbiato mi dice: sì prof scusami ma mi hanno preso in giro, umiliato davanti alla seconda B.
Passo numero 2: dobbiamo passare dalle vele delle emozioni al timoniere, il quale per riprendere il controllo delle emozioni deve capirne il messaggio. Le emozioni se non perdono regolazione sono maestre interiori, sono postini che ci stanno consegnando un messaggio per comprendere il mondo. La rabbia ci dice: stai subendo un'ingiustizia, trova il coraggio di dire no. E allora io dico al timoniere di Luca: hai diritto di essere arrabbiato. La rabbia è l'emozione che proviamo quando subiamo un'ingiustizia.
Passo numero 3: la ripartenza. Hai diritto di essere arrabbiato ma non hai diritto di essere violento. E non lo dico solo a Luca, sfrutto la sfuriata di Luca per parlare a tutta la classe. Quando noi ci arrabbiamo e perdiamo il controllo iniziamo a puntare il dito, ma il dito diventa incendiario. Allora quando siamo arrabbiati dobbiamo mettere una mano sul cuore, se non ci riusciamo subito non importa, lo possiamo fare anche in seguito. Luca, se i tuoi amici ti hanno ferito il mio consiglio è va da loro, mettiti una mano sul cuore e prova a dire loro come ti hanno fatto sentire. Significa spiegare ai ragazzi che dietro la rabbia c'è sempre una ferita. Lo stesso vale per le altre emozioni difficili: la paura che può diventare angoscia; la tristezza che può diventare disperazione; le cadute che possono diventare pessimismo, impotenza, senso di inadeguatezza.
Un approccio autorevole: trasformare i sassi in parole
Noi dobbiamo accompagnare i ragazzi con un approccio autorevole: mi aiuti a capire cosa succede? Ti spiego il significato dell'emozione. Ti aiuto a ripartire. Questo percorso implica che prima dobbiamo allenarci noi nella vita di tutti i giorni perché anche noi adulti, io per primo, ogni tanto perdiamo il controllo delle emozioni. Bisogna insegnare ai bambini l'arte di trasformare i sassi in parole, insegnare loro a dire sono arrabbiato, sono triste, sono spaventato, sono emozionato, orgoglioso, coraggioso.
A scuola le macerie emotive ci sono e non è colpa dei docenti. Ma al netto di queste macerie emotive, anziché lavorare solo dal punto di vista muscolare cercando di reprimerle (tanto comunque non ci riusciamo) abbiamo un compito più affascinante: insegnare a bambini e ragazzi a navigare in questo mare di emozioni che poi è il mare della vita. Il porto sicuro non ti protegge dal mondo, ti insegna a navigare nel mondo. Se tu riesci in classe a gestire quella situazione con empatia, tutta la classe ti guarda e impara emotivamente. E che cosa impara?
Che tieni a loro, che credi in loro, che ci sei per loro. Sai poi cinque minuti dopo come imparano in fretta e bene il complemento di tempo che intendevi spiegare? Come Don Milani io ho capito nella mia esperienza che o tieni a questi ragazzi o ti sommergono. L'insegnante che va in born out oggi non è quello troppo empatico ma quello che lo è troppo poco. Se ti prendi cura di loro, questi ragazzi e bambini per amore, gratitudine, riconoscenza, avranno voglia di seguirti in cima alle vette più alte dell'apprendimento. Altrimenti rimangono a terra, sia dal punto di vista emotivo che culturale”.