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Problemi matematici: come affrontarli per stimolare (e non spaventare)?

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Problemi matematici: come affrontarli per stimolare (e non spaventare)?
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Proposti con la metodologia giusta e calati in contesti reali, diventano lo strumento principe per insegnare la matematica agli studenti. Meglio concentrarsi sui processi più che sul risultato.

La maggior parte degli studenti e degli adulti considera la matematica una disciplina che non dà
spazio alla creatività, noiosa e al tempo stesso difficile: una materia che richiede di memorizzare regole e applicarle a esercizi ripetitivi, che demonizza l’errore e premia la velocità, contraddicendo tra l’altro il richiamo continuo alla necessità di riflettere.

Contenuti reali e non artificiosi

L’attività con i problemi matematici che accompagna lo studente fin dalle sue prime esperienze scolastiche con la matematica ha un’enorme responsabilità nella costruzione di questa visione, così come delle emozioni negative a essa associate.

Innanzitutto la parola "problema", che nel linguaggio quotidiano richiama il significato di situazione nuova da affrontare e da risolvere con soluzioni altrettanto nuove, appare un’etichetta fuorviante, dato che l’attività con i problemi scolastici in genere viene preceduta da un’introduzione dell’insegnante che illustra come si deve fare su un esempio prototipo: quindi, più che di problemi, spesso in realtà si tratta di esercizi, cioè di situazioni per le quali è disponibile una procedura da seguire.

Inoltre, in genere, nella formulazione l’autore del problema preferisce evitare un contesto puramente matematico, nella convinzione che richieda una maggiore capacità d’astrazione, e privilegia la contestualizzazione in situazioni considerate realistiche. Nella maggior parte dei casi, però, le situazioni proposte sono artificiose, e comunque sono artificiose le domande cui si chiede di rispondere, nel senso che sono domande che nessuna persona di buon senso si porrebbe in una situazione reale. Attraverso le esperienze con problemi di questo tipo la maggior parte degli studenti si convince, quindi, che i problemi scolastici non hanno niente a che fare con i problemi reali e che la razionalità utilizzata per affrontare quelli reali sia inutile o addirittura da evitare.

A questo si aggiunge che i problemi sono spesso utilizzati per valutare conoscenze e abilità, piuttosto che per costruire competenze. Per l’allievo l’obiettivo di fronte a un problema scolastico è dare la risposta corretta; l’errore è visto come qualcosa da evitare e il tempo che incalza è vissuto come nemico. In altre parole, il successo è identificato con la produzione della risposta corretta (data in tempi brevi), invece che con l’attivazione di processi di pensiero significativi, con la conseguenza che chi non riesce a rispondere correttamente nei tempi previsti si convince di non essere capace e rinuncia a provarci.

Non stupisce allora che proprio ai problemi spesso è associata la paura di sbagliare, che in matematica è più forte che in altre materie e che può condurre al rifiuto della disciplina.

Evidenziare il processo del risultato

Questa visione dei problemi di matematica, oltre a essere fonte di emozioni negative, è distante anni luce dalla vera natura della matematica.

I fatti matematici che ora vediamo organizzati e sistematizzati nei manuali sono il frutto di idee che si sono evolute nel tempo, spesso attraverso il contributo di più persone e dopo molte difficoltà o addirittura errori, sempre stimolate da problemi, tanto che qualcuno dice che i problemi sono il cuore della matematica. Il ruolo cruciale dei problemi in matematica come motore di idee evidenzia l’importanza non solo della risoluzione, ma anche del momento in cui ci si pone un problema e dei processi che si mettono in moto nell’affrontarlo: esplorare, congetturare, pianificare, argomentare, dimostrare e attivare processi di controllo.

Le Indicazioni nazionali del 2012 condividono quest’idea della centralità dei problemi in matematica e dell’importanza dei processi piuttosto che dei prodotti (cioè le risposte giuste), tanto che i traguardi per lo sviluppo delle competenze sono descritti proprio in termini di processi.

Stimoli per il pensiero

È necessario ripensare l’attività con i problemi a scuola, mettendo in discussione sia la metodologia utilizzata sia la formulazione stereotipata dei problemi standard. Dal punto di vista della metodologia è importante lasciare liberi gli allievi di esplorare, di congetturare, di sbagliare e incoraggiare il lavoro collaborativo che stimola lo scambio di idee e favorisce lo sviluppo di un linguaggio accurato. Per rendere possibile tutto questo è necessario liberare l’attività con i problemi dall’ossessione di una valutazione spesso ridotta al riconoscimento di risposte giuste/sbagliate in prove di breve durata.

La scelta dei problemi da proporre è importante per promuovere l’attivazione dei processi che abbiamo descritto. Se si sceglie di contestualizzare il problema in una situazione realistica per richiamare il vissuto e le conoscenze dell’allievo, ci si deve preoccupare che siano realistiche anche le informazioni date, il modo in cui sono date, e soprattutto la domanda.

I problemi scelti poi devono avere un’adeguata complessità: essere pienamente comprensibili (di conseguenza, il ruolo della formulazione del testo è cruciale) per rendere possibile l’esplorazione e la produzione di congetture; ed essere abbastanza complessi da presentarsi come problemi e non come esercizi da svolgere applicando procedure già note.

Testo a cura di Rosetta Zan, già professore associato di matematiche complementari presso il dipartimento di matematica dell’università di Pisa, è autrice di "Difficoltà in matematica" (Springer), "I problemi di matematica" (Carocci) e coautrice di "Problemi al centro" (Giunti).