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Pasqua: il processo a Gesù letto con gli occhi della Storia

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Pasqua: il processo a Gesù letto con gli occhi della Storia
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Perché Gesù fu arrestato e condannato? Analizziamo il “caso giudiziario” più famoso della Storia alla luce del diritto romano

La condanna a morte e la crocifissione di Gesù rappresentano un punto di svolta non soltanto per la religione cristiana - dove l'esecuzione del Cristo funge da preludio per la sua resurrezione e la redenzione dei peccati dell'umanità - ma per la stessa storia del mondo occidentale.

Ma come si arrivò al tragico epilogo che portò un uomo a finire sulla croce? Con quale pretesto Gesù venne trascinato davanti alle autorità per essere giudicato? Massimo Manzo per Focus Storia ha ricostruito con gli occhi dello storico il processo più importante di sempre, dalle accuse fino alla sentenza definitiva, portandoci a ripercorre ciò che riportano i Vangeli e smentendo alcuni luoghi comuni.

Come era visto Gesù dai suoi contemporanei

Come ci raccontano i Vangeli - che tutt'oggi rappresentano la nostra principale fonte d'informazioni - la vicenda ebbe luogo a Gerusalemme durante la Pasqua ebraica, il momento con il quale i giudei celebrano la liberazione del loro popolo dalla schiavitù in Egitto. In quei giorni la città era gremita di pellegrini e le autorità romane presidiavano in forze il territorio per timore di rivolte e atti sovversivi. La Palestina era infatti una provincia dell'Impero Romano e benché dotati di una certa autonomia, gli ebrei mal sopportavano il dominio straniero.

In tale contesto l'arrivo di Gesù non fece altro che alzare il livello di attenzione. Colui che per la tradizione cristiana era il Figlio di Dio, agli occhi dei suoi contemporanei appariva come un rivoluzionario, un portatore di idee innovative su società e religione, tanto che molti - non solo le autorità religiose più ortodosse - lo consideravano alla stregua di un rivoluzionario o peggio, un sedizioso.

«Con le sue parole - scrive Manzo - metteva in discussione il formalismo dell'interpretazione della legge ebraica (Torah), destando le ire dei sadducei e dei farisei, le principali correnti religiose dell'ebraismo».

Quando poi, di fronte a una folla sbigottita, Gesù compì il celebre atto di sdegno contro i mercanti del Tempio di Salomone, rovesciando i banchi dei cambiavalute, la massima autorità religiosa ebraica, il Sinedrio, decise che era il momento d'intervenire.

Le accuse del Sinedrio a Gesù e l'intervento di Ponzio Pilato

Dopo la cattura nell'uliveto del Getsemani, Gesù venne portato davanti ai sacerdoti del Sinedrio, dove fu interrogato e chiamato a rispondere delle sue parole. Affermare di essere il Figlio di Dio equivaleva infatti a una bestemmia, reato che prevedeva l'esecuzione tramite lapidazione. Nonostante l'imputato avesse di fatto confermato tutto ciò di cui veniva accusato, il Sinedrio non poteva ancora agire con la sentenza e dovette rivolgersi all'altro grande protagonista della vicenda: Ponzio Pilato, il prefetto romano che aveva l'ultima parola su questioni di questo tipo. Dopotutto, dichiarando di essere il Figlio di Dio, Gesù si macchiava anche di lesa maestà nei confronti dell'autorità imperiale, la cui origine era naturalmente divina.

Nonostante le interpretazioni suggerite dalla lettura cristiana che nei secoli forse hanno distorto il giudizio sulla sua persona, Pilato si comportò in modo esemplare per le leggi dell'epoca. Dopo aver ascoltato Gesù e averlo inviato da Erode per un ulteriore interrogatorio, conscio del delicato equilibrio politico da tutelare e, forse, dell'innocenza dell'imputato, decise di appellarsi a una tradizione pasquale ebraica, lasciando al popolo una scelta: salvare Gesù o un altro detenuto, Barabba. La folle scelse quest'ultimo e come risaputo, Pilato "se ne lavò le mani" condannando Cristo alla crocifissione, la pena riservata ai crimini più infamanti.

«Il prefetto voleva forse rispettare un’usanza locale. Tuttavia, nella tradizione cristiana, quel gesto (il lavaggio delle mani n.d.r) e la scelta di Barabba si trasformarono nel pretesto per addossare al popolo ebraico la colpa di deicidio e giustificare le persecuzioni antisemite».

Questo articolo è tratto da Focus Storia 178 (agosto 2021) disponibile in formato digitale.