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Mindfulness a scuola: il super potere del respiro

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Mindfulness a scuola: il super potere del respiro
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Aumenta la concentrazione, migliora la gestione dello stress e la comprensione delle emozioni: tutto questo grazie alla mindfulness. Ecco perché

Immagina un mondo in cui gli studenti sono concentrati, sereni e soddisfatti, riescono a gestire meglio lo stress a scuola e a casa, ascoltano gli altri e comunicano le proprie emozioni; i docenti vivono con maggiore fiducia e curiosità tutte le responsabilità, non sono dominati dall’ansia e dal giudizio nei confronti di loro stessi e degli altri. Fantascienza? Pare di no. Questo potrebbe essere uno dei possibili scenari dovuti all’influenza della mindfulness, sebbene non sia l’obiettivo finale che si prefigge questa pratica.

A che cosa serve la mindfulness Lavinia Costantino, Mindful Educator per bambini e ragazzi secondo il metodo di Mindful Schools California e formatrice teatrale, nel suo libro Diventare grandi con la mindfulness. Guida per crescere bambini e ragazzi sereni (Hoepli, 2021) mette in guardia sul corretto approccio all’attitudine del meditare, che, a differenza di quanto siamo soliti pensare, non è un “plug-in” che compensa una mancanza, bensì è una direzione diversa attraverso cui ci rapportiamo a noi stessi e a quello che ci circonda: «Si tratta di un allenamento che, come tale, non fa altro che sviluppare e potenziare delle risorse che già abbiamo [...], un’attitudine accessibile e quotidiana, potente ma sostenibile, che possiamo sempre nutrire, senza dover cambiare nulla di ciò che ci circonda», soprattutto senza che ci sia richiesto di ottenere dei risultati.

Non c’è solo la performance Un primo step per avvicinare bambini e ragazzi alla mindfulness è proprio ribaltare la nostra concezione di controllo, che definisce una società fondata oggi quasi esclusivamente sulla performance, «un sistema in cui essere vivi non è ritenuto un gran valore di per sé, e nel quale invece dobbiamo continuamente validare la nostra esistenza tramite ciò che facciamo». Un controllo “debole” che ci porta «a percepire il vuoto o la pausa come un’allarmante anomalia del sistema, anziché come una fisiologica condizione dell’esistenza». Nella meditazione, invece, entriamo in contatto con un controllo diverso: impariamo a fare attenzione a ciò che è spiacevole, piacevole o ciò che definiamo neutro, anziché noioso e impariamo a governare la nostra attenzione, come se - spiega Lavinia Costantino- riportassimo in sede la punta del giradischi. Tramite giochi mindful, «i bambini scoprono non solo che possono consapevolmente decidere come e quando essere attenti, ma che non occorre arrabbiarci o giudicarci male quando non riusciamo».

Capire le emozioni attraverso il respiro Riappropriarci dell’attenzione significa fare i conti soprattutto con le emozioni, la cui forza comunicativa viene sprigionata grazie a ciò che nei laboratori di Lavinia è conosciuto come un “super potere”: il respiro. «Chiedete a un bambino di riflettere su come cambi il suo respiro tra il momento in cui sta prendendo sonno e l’attimo prima di essere interrogato o fate riflettere un adolescente su ciò che accade al battito cardiaco quando si trova davanti a un esemplare umano che reputa affascinante e seducente: capiranno intuitivamente e immediatamente quale sia la correlazione tra il respiro e il nostro stato interiore. Se, con la vostra guida, impareranno a rendere questa pratica parte della loro vita quotidiana, diventeranno via via sempre più consapevoli dei loro stati mentali ed emotivi e in grado di gestirli in maniera efficace, senza esserne travolti improvvisamente».

Fare i conti con le emozioni negative Come noi adulti, anche i bambini sono tendenzialmente poco allenati a entrare in contatto con ciò che sentono e a tradurlo in parole, soprattutto quando si tratta di emozioni negative, che nell’ottica mindful “perdono” questo giudizio di valore, perché è più importante «il modo in cui fanno sentire noi», l’unico aspetto su cui possiamo lavorare rimanendo ancorati al presente. Così capita, prosegue Lavinia, «che, nei corsi di teatro, io incontri bambini che attraversano il palco con un sorriso smagliante e l’andatura energica, convinti di incarnare il personaggio afflitto e solitario, o succede di credere che il teenager di casa stia bene fino al momento in cui la scuola chiama per comunicare cosa è accaduto durante un “improvviso” accesso di rabbia».

L’alto costo in termini di identità Nonostante il recente interesse sul tema in ambito scolastico, la consapevolezza emotiva e il lessico che ne deriva fanno ancora fatica a essere in cima all’agenda educativa nei contesti di apprendimento. «La maggior parte dei percorsi di crescita», si legge nel libro, «è finalizzata all’ottenimento dei risultati e al consolidamento dell’autostima», che certamente è un aspetto di grande valore, «ma quando diventa il cardine che fa muovere tutto il processo educativo, questo concetto rivela il suo altissimo costo in termini di identità». E se l’identità per un bambino e un adolescente rappresenta un viaggio solo agli inizi, occorre stabilire un rapporto più umano con il presente, «l’unico tempo in cui siamo davvero noi stessi».