METODO COOPERATIVO E COOPERATIVE LEARNING
Il cooperative learning è un approccio pedagogico che racchiude al suo interno innumerevoli modelli. Tra essi rientra il metodo della didattica cooperativa che ho ideato nel corso degli anni a partire dalla mia esperienza in progetti di contrasto alla dispersione scolastica. Nel mio metodo propongo almeno un centinaio di strumenti (che ho chiamato format cooperativi) per coinvolgere e ispirare le classi di oggi. Su un punto però vorrei essere chiaro.
Il metodo funziona solo se c’è empatia: bambini e ragazzi devono sentirsi nel nostro sguardo. Gli alunni difficili, infatti, non chiedono di essere gestiti, ma di essere amati. A partire da questo sguardo, esploriamo alcuni principi metodologici per condurre lezioni cooperative.
LEZIONE IN TRE TEMPI PER NON PERDERE L'ATTENZIONE DEGLI ALUNNI
A differenza del tradizionale cooperative learning, la didattica cooperativa non è nemica della spiegazione frontale, anzi la reputa uno strumento prezioso. La lezione del metodo cooperativo è una lezione trifasica divisa in tre tempi: apertura (verticale), cooperazione (orizzontale) e riflessione collettiva (circolare). Questa tripartizione diviene fondamentale per vincere la sfida dell’attenzione: come numerose ricerche hanno dimostrato, la capacità di attenzione nelle nuove generazioni si è ridotta rendendo inefficace il vecchio modello della spiegazione frontale.
La parola del docente è un fuoco fondamentale per accendere il desiderio di apprendere ma, affinché questo fuoco non finisca per bruciare invano, si consiglia di aprire la lezione con una spiegazione che non superi i 20 minuti. Nella fase centrale della lezione gli studenti lavorano insieme in micro-gruppi (coppie e al massimo terzetti) coltivando preziose intelligenze.
Il lavoro cooperativo, non solo libera il potenziale espressivo degli studenti ma, dal punto di vista attentivo, ricarica le energie cognitive della classe che, nella terza e conclusiva fase, si ferma per riflettere collettivamente su quanto appreso. Come ci ha insegnato il pedagogista russo Lev Semënovic Vygotskij: solo tramite la discussione si costruisce il pensiero. In questa fase l’insegnante lancia alla classe domande per riflettere, sia sui contenuti disciplinari sia sulle dinamiche cooperative.
L'APPRENDIMENTO DIVENTA PIU' PROFONDO
La logica trifasica della lezione cooperativa chiede all’insegnante di fare una scelta coraggiosa, ma decisiva: fare meno (contenuti), per fare meglio (andando più in profondità). Dal punto di vista pedagogico si tratta di passare dal tradizionale modello della “didattica surf” al nuovo paradigma della “didattica sub”. La didattica surf si fonda sul principio della quantità: l’obiettivo è trasmettere il maggior numero di nozioni alla classe nel tempo disponibile. Quando utilizziamo la sola spiegazione frontale facciamo “surfare” i nostri studenti su molte informazioni; il limite di questa didattica è che l’apprendimento, per questioni di tempo, diventa inevitabilmente superficiale formando quelle che il filosofo francese Edgar Morin chiama “teste ben piene” che come sappiamo si svuotano velocemente.
La lezione del metodo cooperativo si iscrive, invece, nel paradigma della didattica sub in cui il principio di quantità viene sostituito da quello di profondità. Dopo i primi 20 minuti di spiegazione, gli studenti, divisi in coppie e terzetti, sono invitati a immergersi nell’apprendimento discutendo, confrontandosi e pensando insieme.
Si tratta di una scelta affascinante quanto difficile perché il modello pedagogico dell’immersione chiede all’insegnate di compiere alcune scelte: selezionare meno contenuti per andare più in profondità. Un vecchio detto africano recita: “Se vuoi andare veloce vai da solo [didattica frontale, nda], se vuoi andare lontano vai insieme a qualcun altro [didattica cooperativa, nda]”.
È in altri termini la scelta difficile, ma doverosa, tra quantità e profondità. La vera domanda pedagogica è: vogliamo che i nostri studenti vadano veloce o vogliamo che vadano lontano?
UN METODO CHE PONE LA SFIDA DELL'INCLUSIONE
Un’altra sfida che sa di impossibile è quella dell’inclusione: un diritto pedagogico inalienabile, ma difficile da attuare oggi dato che in classe abbiamo numerose fragilità. Una vecchia storia può aiutarci a comprendere il valore inclusivo della cooperazione. I protagonisti sono un uomo non vedente e un uomo claudicante in un edificio in fiamme. Il non vedente da solo non riesce a trovare l’uscita di emergenza. L’uomo claudicante da solo vede l’uscita d’emergenza, ma è troppo lento per raggiungerla in tempo.
Che cosa ci insegna questa storia? Ci mostra che l’unico modo per vincere sfide impossibili è l’aiuto reciproco: saltando sulle spalle del non vedente l’uomo claudicante può guidarlo all’uscita.
In classe dobbiamo passare dal modello dell’inclusione verticale (l’insegnante spiega e personalizza per
i portatori di bisogni educativi speciali) al modello di inclusione orizzontale: lavorando in coppie e terzetti gli studenti si aiutano reciprocamente sulla scorta del preziosissimo insegnamento della scuola di Barbiana dove si imparava “nello sguardo” del compagno.
Tecnicamente sono meglio i micro-gruppi (solo coppie e terzetti) che presentano molti vantaggi: semplicità relazionale per gli studenti, semplicità di monitoraggio per l’insegnante, ma soprattutto massimizzano la partecipazione. In una coppia si partecipa individualmente il doppio di un quartetto. Le coppie dovrebbero rimanere fisse per un mese, così da consentire una conoscenza più profonda e sinergica tra gli studenti. Inoltre è bene seguire la regola 80/20. Non è una regola geometrica, ma un promemoria pedagogico: per l’80% dell’anno scolastico (quindi la maggior parte) formare micro-gruppi eterogenei con studenti di diversi livelli di motivazione, responsabilità e apprendimento; per il 20% dell’anno scolastico (ovvero quando ne ravvisiamo la necessità) costituire micro-gruppi omogenei: coppie di recupero, nel caso alcuni studenti avessero necessità di recuperare certi apprendimenti, ma anche coppie di approfondimento composte da studenti plusdotati che vengono inclusi con domande maggiormente sfidanti.
L’inclusione cooperativa è un’inclusione globale. Include i più fragili senza dimenticare i più brillanti.
SVILUPPARE LE INTELLIGENZE: LA SFIDA DEL FUTURO
I nostri ragazzi crescono in un tempo difficile che il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha definito “liquido”
asserendo che l’unica certezza oggi è l’assenza di certezze. Insegnanti, genitori ed educatori devono dunque chiedersi come equipaggiare bambini e ragazzi di fronte alle complesse sfide di questo futuro liquido, incerto e imprevedibile.
Se l’orizzonte è diventato instabile, scuola e famiglia devono formare quelli che io definisco “esploratori coraggiosi”: giovani in grado di crearsi strade là dove non sembrano essercene. Vero scopo della didattica cooperativa è proprio questo: partire dall’apprendimento scolastico per equipaggiare gli studenti ad affrontare un futuro per larghi tratti intraducibile. Ci sono tante attività (i format cooperativi) che possono aiutare a sviluppare le intelligenze fondamentali per “navigare” nel mondo contemporaneo. Vediamone alcune.
Per coltivare l’intelligenza creativa si può proporre alla classe una “campagna di sensibilizzazione” in cui si invitano gli studenti a realizzare manifesti, rap, poesie, fumetti, video, eccetera per riflettere in modo originale su tematiche disciplinari e di cittadinanza. Per coltivare l’intelligenza curiosa, ovvero la capacità di apprendere in modo significativo, autonomo e desiderante, si può chiedere agli alunni di creare “mappe amiche”, in cui alla semplice mappa mentale si aggiungono domande di approfondimento. Un’altra intelligenza da allenare è quella critica: per svilupparla bisogna abituare gli studenti a pensare suggerendo in classe attività di discussione filosofica e cooperativa. La quarta tipologia di intelligenza è quella empatica. Lavorare su questa è importantissimo: significa stendere sulla classe la coperta calda della comprensione reciproca e dell’affettività.
Ci sono tante attività che si possono fare. Una, per esempio, è quella che ho chiamato la “Sedia dell’empatia”: a turno gli studenti si siedono su questa sedia speciale e i compagni sono liberi di donare tre possibili “carezze” d’empatia: “Grazie perché...” (carezza della gratitudine); “Di te apprezzo...” (carezza del riconoscimento); “Scusami per quella volta in cui...” (carezza del perdono). Infine, la quinta intelligenza di navigazione è quella cooperativa che contempla format specifici per imparare a stare insieme: “Scrittura tempesta” per scrivere in coppia, il “Semaforo cooperativo” per esercitarsi insieme e “Gli specialistici” per il mutuo insegnamento tra coppie.
EMPATIA: LA SFIDA DELLA CITTADINANZA
Un quinto elemento da considerare è l’etica dell’empatia. Non una troppo soggettivistica empatia che può scattare o non scattare, ma una vera e propria cultura pedagogica. Nella didattica cooperativa, infatti, la cooperazione non è intesa come un semplice “fare insieme”, ma aspira a un più profondo prendersi cura con empatia gli uni degli altri. La classe cooperativa rappresenta una eutopia, ovvero un luogo del bello e del bene finalizzato a formare cittadini responsabili.
Quello in cui viviamo è un tempo complesso, attraversato dalle distorsioni dell’Io (individualismo, narcisismo, ipercompetitività) assieme a forse ancor più pericolose distorsioni del noi (pensiamo al ritorno degli integralismi religiosi e ai movimenti xenofobi e razzisti). La scuola, che da quest’anno dovrà destinare ore specifiche all’educazione civica, può promuovere l’etica dell’empatia investendo su due dimensioni complementari: la mente critica e il cuore intelligente. La mente critica è la mente di un cittadino che non si abitua mai del tutto al mondo e per questo non smette di interrogarlo. Si tratta di una dimensione civica importante, ma non sufficiente.
Come ben ha evidenziato il filosofo argentino Miguel Benasayag, l’esperienza nazista ci ha dimostrato qualcosa di doloroso: “pensare bene non è garanzia di pensare il bene”; la stessa Germania, che ha dato i natali ai più grandi pensatori del Novecento, è la stessa ad aver appoggiato Hitler. Ecco perché lavorare sulla mente critica è importante ma non sufficiente. Accanto a questa dimensione dobbiamo coltivare anche un cuore intelligente: consapevole della grammatica dei sentimenti ma soprattutto un cuore che non rimane indifferente alle ferite nello sguardo dell’Altro.