L'hanno definita “la città di cemento” per via di un'indagine su abusi edilizi. Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, finisce spesso sulle pagine di cronaca. Sede dell'ex stabilimento Alfa Romeo, oggi Fiat-Stellantis, è una città con alti tassi di criminalità e disoccupazione. E, naturalmente, di abbandono scolastico. Ma proprio qui ha la sua sede principale una delle dieci scuole più innovative al mondo, secondo la classifica stilata nel 2023 dall'organizzazione T4Education.
Un miracolo all'italiana, verrebbe da definirlo, ma frutto dello straordinario lavoro di due dirigenti scolastici succedutisi negli ultimi anni e del team di docenti. Ospitato in un condominio, senza una palestra e con spazi talmente ridotti da costringere i suoi studenti ai doppi turni da vent'anni, l'ISIS Europa ha letteralmente inventato un nuovo indirizzo di studi, web community manager, che per anni è rimasto unico in Italia e ha permesso a migliaia di studenti di lavorare con aziende di tutto il mondo. E le metodologie didattiche adottate, estremamente innovative, mirano a favorire la crescita personale dei ragazzi, a farne dei pensatori abituali. Negli ultimi mesi l'ISIS Europa è stato inserito all'interno della rete Schools+ dell'OCSE, permettendo ai ragazzi di Pomigliano di entrare in contatto con 140 scuole di 40 paesi del mondo.
Come ci siete riusciti? «Diciamo che ci stiamo ancora provando -risponde la dirigente, Angela Comparone-. I risultati sono molto evidenti, innanzitutto nella drastica diminuzione dell'abbandono scolastico. C'è un problema di fondo, e sono le nostre norme che sono obsolete mentre fuori gli scenari cambiamo quotidianamente. Noi tentiamo di adeguarci con un'analisi dei bisogni quasi morbosa per ogni classe, cercando di offrire una competenza in uscita che possa poi fruttare. Cerchiamo quindi di tenere sotto controllo continuamente il mondo del lavoro, proprio per capire cosa accade realmente fuori da queste benedette quattro mura». Colpisce che l'innovazione abbia trovato una delle sue massime espressioni nazionali proprio qui, in una realtà estremamente difficile. La scuola ha 1440 studenti, distribuiti su quattro plessi in due comuni diversi. Soltanto uno ha sede in un edificio che somiglia a una scuola, grazie al sindaco di Casalnovo. Gli altri sono ospitati in condomini. «Il nostro territorio è ad alto rischio per criminalità, furti, inoccupazione, disoccupazione... Abbiamo di tutto e di più, ecco perché i risultati ci fanno essere così orgogliosi dei nostri ragazzi -risponde uno dei docenti, Roberto Castaldo, animatore digitale dell'ISIS Europa-. L'innovazione trova terreno fertile proprio dove ci si rende conto della presenza di una criticità o di più criticità, perché in quel momento è doveroso alzarsi dalla poltrona e muoversi in una certa direzione, ed è quello che abbiamo fatto 15 anni fa».
Originariamente la scuola era un'istituto professionale per i servizi commerciali che offriva un profilo professionale di addetto alle vendite. Col tempo questa figura era divenuta troppo indefinita per essere appetibile sul mercato del lavoro. «Il nostro Istituto in quel momento era l'ultima scelta – racconta Castaldo-. Però la normativa sulla flessibilità oraria e naturalmente quella sull'autonomia scolastica ci davano la possibilità di cambiare il profilo professionale di riferimento. Noi scegliemmo il web community manager che trovammo in qualche modo sovrapponibile al vecchio addetto alle vendite, con l'aggiunta di tutto ciò che è web. Abbiamo passato un anno e mezzo a riscrivere completamente la progettazione didattica, disciplina per disciplina, e abbiamo cominciato a offrire al territorio un indirizzo in quel momento unico in Italia. I ragazzi hanno compreso e adesso scelgono di venire da noi, anche se purtroppo non riusciamo ad accogliere tutti per mancanza di spazi. Sanno di avere possibilità reali di lavoro anche in un territorio povero come il nostro. La media e piccola impresa qui è merce rara. Però questo profilo professionale permette di affrancarsi dalla pochezza del territorio e di lavorare per chiunque ovunque nel mondo”.
Prima di tutto, dunque, avete modificato cosa studiare. Poi avete modificato anche il come... «Nel 2017, grazie ad Avanguardie Educative di INDIRE, siamo stati selezionati per un progetto insieme ai ricercatori dell'Harvard School of Education -racconta ancora Castaldo-. Si trattava di sperimentare in Italia Project zero, il progetto fondato nel 1967 dal filosofo Nelson Goodman. I ricercatori di Harvard sono venuti da noi e da altre due scuole italiane e abbiamo iniziato a studiare l'applicabilità del framework didattico MLTV (Make Learning and Thinking Visible, rendere visibili il pensiero e l'apprendimento). Quello è stato un punto di non ritorno: dopo, i nostri studenti hanno iniziato a sentirsi davvero al centro. Uno degli obiettivi di MLTV è rendere gli studenti dei pensatori abituali. L'apprendimento è rivolto maggiormente verso lo sviluppo dell'individuo e poi anche naturalmente verso lo sviluppo del professionista, ma la persona viene prima. Funziona, perché noi ci avviciniamo a loro e loro comprendono quanto all'istituzione scolastica interessi del loro sviluppo complessivo. Utilizziamo da tanto tempo anche il Service Learning: avviciniamo gli studenti al territorio, creiamo intere progettazioni didattiche finalizzate alla realizzazione di artefatti fisici o digitali di cui la comunità dovrà beneficiare. Ad esempio, gli studenti insegnano agli anziani di Pomigliano d'Arco l'uso del digitale».
Come strumenti metodologici si utilizzano le cosiddette thinking routine, le routine di pensiero, che combinate in maniera ogni volta diversa permettono di creare unità didattiche su misura per ciascuno studente. «Una delle più semplici e conosciute si chiama See Think Wander (guarda, pensa e fatti una domanda) -spiega Castaldo-. Allo studente viene proposto uno stimolo: un'opera d'arte, un quadro, la lettura di un testo, un video... La prima cosa che chiediamo è di descriverlo esattamente così com'è, cercando di separare l'atto della visione da quello del pensiero. La deduzione viene immediatamente dopo, quando chiediamo: che cosa ti fa pensare? Quali sono le sensazioni che provi? Cosa pensi che significhi? L'ultima fase, Wonder, è quella che inizialmente spiazza tutti gli studenti: dopo che hai visto un oggetto, lo hai descritto e ci hai ragionato su, poniti delle domande. Questa è la fase più critica, perché gli studenti non sono abituati a porsi delle domande, sono abituati a rispondere alle domande poste dagli insegnanti. Però quando iniziano a entrare nel meccanismo, ecco che si scatenano perché si sentono non giudicati. Queste infatti non sono attività che vengono giudicate. Il pensiero è libero, a noi interessa che inizino a pensare, che inizino a ragionare e a interrogarsi». «Non c'è una risposta giusta e una sbagliata, ogni cosa che dicono viene ascoltata» aggiunge la preside.
La cosa importante sono le domande, le risposte contano molto meno. Questo induce i ragazzi a non aver paura di sbagliare. «Tradizionalmente, l'errore è qualcosa da evitare a tutti i costi, qualcosa che gli insegnanti finiscono con il punire, col giudicare -spiega Roberto Castaldo-. Noi sappiamo bene che è esattamente il contrario: chiunque inizia a fare qualcosa, inizia a farlo in maniera sbagliata. Qualunque apprendimento passa attraverso una serie di errori successivi, ripetuti, magari sempre migliori. E per evidenziare questo nostro rapporto particolare con l'errore, abbiamo realizzato il Museo dell'errore! È un ambiente in metaverso (museodell'errore.it), un mondo virtuale in cui, con gli studenti di prima dello scorso anno, abbiamo fatto una raccolta degli errori più importanti e più divertenti da cui è nato qualcosa di bello: la torre di Pisa, la Nutella, i corn flakes, il forno a microonde... In questo modo cerchiamo di fare pace con uno degli spauracchi dei nostri studenti. Questo dovrebbe portarci tutti a una seria e profonda riflessione sulla valutazione, sul suoi compiti e obiettivi, e su quanto la scuola si sia soffermata troppo finora sull'aspetto giudicante della valutazione piuttosto che sulla sua valenza formativa».
A livello di gestione della classe, questo diverso approccio si sente? «Eccome! -esclama Castaldo-. Risolve il problema atavico della scuola, elimina le distanze. Nel momento in cui lavoriamo su qualcosa che agli studenti piace noi eliminiamo il peso dell'apprendimento. Un esempio: per studiare i miti greci abbiamo creato unmitocivuole.it, un ambiente virtuale in cui si entra trasformandosi in avatar. È un gioco di scoperta, ogni tappa è un indizio che si raccoglie. Per il mito di Antigone chi entra trova una poesia di Bertold Brecht, una poesia di Mario Luzi, le storie di Rosa Parks e Malala. Per creare questo prodotto, molto complesso dal punto di vista tecnico, tante volte con i nostri studenti abbiamo fatto notte! Ma in quel momento gli studenti nella loro percezione non stanno studiando, stanno facendo una cosa che piace. Naturalmente non funziona sempre, però il percorso che si è intrapreso secondo me è virtuoso».
Il percorso dell'Isis Europa potrebbe essere ri-percorso da altre scuole, ovviamente adattandolo allo specifico contesto. «Il contesto è importantissimo -ammonisce Angela Comparone-. Senza contesto non è possibile mettere in campo nessuna azione didattica che abbia un giusto valore. I ragazzi non sono degli stampini e invece sembra che i genitori li vogliano a propria immagine e somiglianza, la scuola li voglia a immagine e somiglianza di uno studente del '45… Un buon insegnante utilizza tutte le metodologie didattiche compresa la lezione frontale che viene tanto demonizzata. È come un contadino che cerca di arare un terreno nuovo, deve avere esperienza del terreno per scegliere gli strumenti che poi servono a dissodarlo. La tragedia della scuola italiana è che non parliamo l'uno con l'altro, non c'è un registro unico, non ci sono norme uniche, è tutto frammentario, soprattutto alle superiori. E alla fine di tutto questo ci sono i ragazzi, che invece sono straordinari: noi abbiamo allievi che usciranno quest'anno e hanno già costruito un'impresa, ragazzi che sanno già che andranno a lavorare in grandi multinazionali».