Nelle scuole finlandesi i bambini giocano allegramente in cortile, fin dal primo mattino, per iniziare la giornata con la carica giusta. Liberarsi delle scarpe, uscire al termine di ogni lezione per muoversi sono una prassi consolidata. E in Italia? La fotografia che emerge dal rapporto Eurydice, ente di ricerca europeo che si occupa di sistemi educativi e politiche, ci dice che nelle nostre scuole bambini e ragazzi hanno poche occasioni di muoversi e fare sport. Le mattinate scolastiche prevedono diverse ore da trascorrere fermi al banco e molti bambini appaiono irrequieti e insoddisfatti, perché il bisogno di muoversi, naturale alla loro età, rende difficile la concentrazione su compiti sedentari.
«Un buon motivo per introdurre attività che prevedono il movimento nelle scuole è riconoscere il profondo valore pedagogico dei momenti in cui la tradizionale didattica lascia il posto a una dimensione diversa, più attiva e giocosa» spiega Rosalinda Cassibba, docente di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università di Bari. Il percorso di formazione di un bambino, insomma, non si limita alle nozioni apprese o alle abilità strettamente legate al lavoro disciplinare. «Alcune competenze, come la capacità di pianificare un’attività per raggiungere un risultato o di organizzare il proprio modo di interagire con lo spazio o, ancora, la gestione della fisicità si imparano più giocando che stando fermi al banco, impegnati a compilare una scheda di lavoro», sottolinea Cassibba. Nella vita minuziosamente organizzata dei nostri bambini, un’abilità che spesso non viene sviluppata neppure a casa è infatti quella di autogestirsi nel tempo libero. «È per questo che concedere ai bambini e ai ragazzi momenti di libera organizzazione del proprio tempo, in uno spazio che consenta loro di muoversi e interagire con facilità, è molto importante», sottolinea la docente.
Giocando e muovendosi si impara anche a “litigare bene”, a gestire i piccoli conflitti tra compagni. «La gestione corretta del conflitto è una competenza importantissima, che raramente emerge nel lavoro scolastico tradizionale, ma si consolida facilmente nel corso del gioco», aggiunge Cassibba. «Imparare a giocare dividendosi i compiti senza cadere nella prepotenza, saper gestire l’insuccesso e la frustrazione, accettare che non si può sempre riuscire, sono competenze sociali fondamentali, che vale la pena di acquisire il più presto possibile», conclude la Cassibba.
Interrompere la routine scolastica per fare una pausa – qualcosa di più dei classici 10 minuti di intervallo – che preveda anche il gioco di movimento è un’esigenza che i bambini sembrano avvertire profondamente. «Dopo un impegno prolungato in attività sedentarie, i bambini ricorrono al gioco motorio non appena ne hanno l’opportunità, come se l’attività fisica avesse una funzione compensatoria», sottolinea Emma Baumgartner, docente di psicologia dello sviluppo sociale ed emotivo nell’infanzia e adolescenza all’università “Sapienza” di Roma, autrice di Il gioco dei bambini (Carocci editore). «Giocando in movimento i bambini acquisiscono destrezza e controllo nei movimenti, oltre a essere più protetti dal rischio di obesità», aggiunge l’esperta.
Ma i benefici per la mente non sono certo meno importanti: «Ricerche svolte in Canada, Stati Uniti e Giappone hanno mostrato come le pause attive a scuola migliorano le capacità di attenzione e di concentrazione nel corso delle attività scolastiche e aumentano la motivazione», aggiunge Baumgartner. «Inoltre, sembra che per i bambini più piccoli il gioco motorio sia una difesa efficace contro il sovraccarico cognitivo, perché introduce un drastico cambiamento e rappresenta un’attività controllata dal bambino invece che dall’insegnante», conclude Baumgartner.
La possibilità di un incidente è uno dei timori più grandi per insegnanti e dirigenti scolastici, quando si pensa di proporre ai bambini attività di movimento. L’importanza di vigilare con attenzione sugli allievi, che sicuramente non va messa in discussione, non deve, però, sfociare nell’eccesso opposto. Avvolgendo in un rassicurante nido di bambagia i nostri bambini non facciamo il loro interesse, anzi. «I bambini, per crescere, hanno bisogno di staccarsi progressivamente dagli adulti di riferimento e di esplorare l’ambiente. Essere troppo protettivi li rende insicuri e non offre loro occasioni di mettersi alla prova e di scoprire di potercela fare», aggiunge Rosalinda Cassibba.
Purtroppo gli ambienti scolastici italiani sono spesso angusti e poco adatti ad attività coinvolgenti e a misura di bambino. Le preoccupazioni di insegnanti e genitori sono spesso legate alle oggettive difficoltà di gestire in sicurezza attività motorie. «Talvolta, però, bastano semplici accorgimenti per rendere uno spazio più sicuro e gestibile, ma per impegnarsi a farlo bisogna essere convinti dell’importanza delle ricadute pedagogiche di queste attività», afferma Cassibba.
Nella fase della progettazione delle attività, sarà importante coinvolgere i genitori, spiegando con chiarezza da che cosa si parte e dove si vuole andare, rispondendo alle loro perplessità e costruendo insieme un percorso con regole condivise. «È il modo migliore per evitare che i timori emergano in corso d’opera e portino a sospendere alcune attività, anche utili e interessanti, perché i genitori non ne comprendono gli scopi ma vedono solo i potenziali rischi per la sicurezza», conclude l’esperta.
Inoltre, il gioco in movimento combatte l’obesità e migliora l’apprendimento.
Spezzare la routine delle attività sedentarie con pause in cui ci si possa muovere insieme in allegria, scaricando le tensioni e potendo tornare tra i banchi ancora più carichi di voglia di fare: è questo che si propongono le scuole che aderiscono al progetto “Moving School 21”, che utilizza per questo sia gli spazi interni alla scuola, sia quelli esterni, compresi quelli pubblici della città. Le attività del progetto hanno, nel corso del tempo, coinvolto scuole in diverse regioni d’Italia. La filosofia della necessità di stare all’aria aperta è anche alla base della rete delle “scuole all’aperto”, che decide di portare la scuola al di fuori delle quattro mura delle aule, in spazi dove i bambini possano muoversi e fare esperienze più ricche e variegate. Nel sito dell’associazione si possono trovare anche esempi concreti tratti dall’esperienza degli insegnanti coinvolti.
Sperimentato con successo in alcune scuole primarie dell’Emilia Romagna e della Puglia, il progetto “CorpoRé”, ideato da Anna Maria Conoci, sociologa e formatrice, inserito nel 2007 dal Centro Studi Erickson tra le “buone prassi educative”, propone ai bambini attività basate sulla libera espressione del corpo, in piccoli gruppi o nel gruppo classe. Durante “CorpoRé” si gioca, si danza, si ascoltano storie, si raccontano esperienze e vissuti, si crea, ci si rilassa, ci si confronta. “CorpoRé” aiuta i bambini ad acquisire fiducia nelle loro possibilità e a crearsi un futuro più in sintonia con il loro essere. Alla base del progetto c’è l’integrazione della ricerca psicopedagogica con il counseling e l’arteterapia. «Se il corpo non si esprime, muore!» è l’efficace sintesi fatta dalla piccola Aurora, otto anni, al termine delle attività di “CorpoRé”, che l’hanno molto coinvolta.
Imparare a muoversi con agilità, sviluppare la coordinazione occhio-mano, superando le difficoltà nei movimenti e nell’interazione con gli altri. E, per di più, divertendosi con attività che uniscono i vantaggi dello sport all’allegria del gioco. La giocomotricità è tutto questo. Tra le attività più spesso proposte ai bambini ci sono quelle che prevedono l’uso di piccoli attrezzi, come cerchi, cubi o palloni, per creare percorsi a difficoltà graduale. Ci sono poi le attività che si svolgono su una scacchiera gigante sulle cui caselle i bambini possono muoversi e saltare (per approfondire si può leggere il libro Giocomotricità su scacchiera gigante. Manuale per insegnanti e istruttori, edito da Le Due Torri).