La scuola è iniziata, partiamo con il piede giusto! Oltre all'accoglienza in classe di bambini e ragazzi, abbiamo pensato anche a come “accogliere” le loro famiglie? Il rapporto con i genitori è fondamentale, 30 anni di ricerche ormai dimostrano che la cosiddetta alleanza educativa migliora i risultati accademici degli alunni. Eppure, la costruzione di un dialogo autentico con mamme e papà spesso è un'ardua impresa. Ecco qualche “dritta” che abbiamo raccolto da esperti e da docenti che ce l'hanno fatta...
L'assemblea di classe
A volte pensiamo di “dar voce” ma non lo facciamo davvero. Gli insegnanti chiedono sempre ai genitori se hanno domande o osservazioni da fare. Ma lo fanno negli ultimi cinque minuti, quando magari si è già sforato l'orario di chiusura dell'incontro. “Questo significa che non sono davvero interessati alla risposta - osserva Andrea Prandin, consulente pedagogico che da tanti anni si occupa del rapporto tra scuola e famiglia-. Se c'è un interesse genuino a conoscere paure e aspettative delle famiglie, la domanda va posta a metà dell'assemblea e non si prosegue con l'ordine del giorno finché i genitori non si sono espressi”.
Attenzione poi ai dettagli: “Se scelgo di avvisare i genitori soltanto via mail già escludo qualcuno - avverte Alessandro Pepe, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione all'Università degli Studi Milano-Bicocca-. Importante anche l'anticipo che viene dato, l'orario che viene scelto per venire incontro alle esigenze di chi lavora...”.
I colloqui con i genitori
I colloqui con i genitori sono la principale fonte di stress per maestri e professori. Spaventano i genitori disinteressati e assenti, quelli non cooperativi che promettono e poi non fanno nulla, quelli iper-protettivi e soprattutto gli insoddisfatti, che spesso mettono in dubbio competenza e professionalità. “Attenzione alle categorie generalizzanti -ammonisce Prandin-. I genitori spesso diventano invadenti quando sono stati completamente esclusi. Alzano i toni perché vengono respinti. Poi, certo, ci sono i maleducati e basta. Generalmente, però, se diamo voce alle persone queste smettono di urlare”.
Il punto è che scuola e famiglia sono due sfere di competenza diverse che si sovrappongono ed è naturale che ci sia un conflitto. Mentre nel campo dell'istruzione non dovrebbero essere ammesse invasioni, sull'educazione mamme e papà possono e debbono essere coinvolti perché si tratta di un terreno comune. E allora come fare per instaurare un rapporto di collaborazione evitando i dissapori e le aggressioni, verbali e perfino fisiche? Le regole base le aveva già individuate nella loro apparente semplicità Gianni Rodari, oltre 40 anni fa: saper parlare e sapersi ascoltare.
Non dare giudizi
Cominciamo dalla prima. “Io cerco di non dare giudizi ma di descrivere semplicemente i fatti così come sono accaduti in classe – racconta Alessandra Gagliano, maestra in una primaria milanese-. Non uso mai frasi come suo figlio è un maleducato perché...”.
“Meglio non chiamare a colloquio i genitori apposta per affrontare un ostacolo specifico –riflette Flavio Ratti, maestro in una primaria in provincia di Milano-. Conviene approfittare di un colloquio già fissato. E incominciare mettendo in rilievo gli aspetti positivi, i miglioramenti ottenuti. Poi, quando si arriva al punto, raccontare l'episodio o il comportamento come se riguardasse un gruppetto di alunni di cui fa parte quel bambino. Anche se in realtà è stato l'unico responsabile”.
“Noi maestri dobbiamo osservare bene il bambino -consiglia Valentina Lanza, 18 anni di esperienza-. Dobbiamo raccontarne molte caratteristiche, tante sfumature. Insomma, dobbiamo dare l'impressione di conoscerlo a fondo. Solo così possiamo convincere i genitori a concederci almeno il beneficio del dubbio quando sottolineiamo una difficoltà”. In generale, meglio affrontare le questioni più delicate come gruppo docenti, per non personalizzare il conflitto. È utile appoggiarsi agli psicologi che lavorano nella scuola. Oppure far partecipare al colloquio anche il dirigente scolastico.
Ammettere le proprie difficoltà
Soprattutto l'umiltà aiuta a smussare i conflitti. “È saggio ammettere le proprie difficoltà -riflette Alessandra Gagliano- e studiare insieme una strategia per superarle”. “Quando parlo con i genitori faccio molto spesso l'esempio dei miei figli - racconta Rosa, professoressa di italiano in una scuola media alle porte di Palermo -. Non siamo perfetti, sbagliamo anche noi. Però quando i ragazzini si comportano male, vanno ripresi”.
“A volte perfino mi invento problemi familiari che non ho - rivela la maestra Valentina Lanza - ma mostrare le proprie debolezze può essere davvero la chiave per aprire la porta alla fiducia”.
Partire dalla fiducia
Già, la fiducia. Reciproca. È l'obiettivo principale da raggiungere. Ma è, insieme, il punto di partenza. “Se per un insegnante è difficile comunicare alla famiglia un problema significa che non è stato costruito nulla prima -spiega Andrea Prandin-. La fiducia è la premessa a tutto il resto, è il fondamento”.
“È vero -riconosce Rossella Peppetti, maestra dopo anni di lavoro come assistente sociale a Pioltello, una delle cittadine più turbolente alla periferia di Milano-. Se c'è fiducia ogni cosa che succede non viene vista dai genitori come un errore dell'insegnante ma come una difficoltà da superare insieme”. “La fiducia è da costruire in ogni istante -ammonisce Prandin-. Non è vero che o c'è o non c'è. In ogni momento dipende da come mi comporto ogni giorno”.
Concedersi il tempo necessario
Per costruire un vero dialogo, occorre concedersi il tempo necessario. Per alcune famiglie i 10 minuti solitamente dedicati al colloquio non sono sufficienti. “Io mi fermo sempre all'uscita -racconta Rossella Peppetti-. Comunico il mio indirizzo mail a tutti, a volte anche il numero di cellulare. Scrivo ai genitori una volta al mese. I miei colleghi dicono che esagero, ma questo rapporto continuo con le famiglie ha pagato moltissimo”.
“Dovrebbero concederci almeno due ore la settimana da dedicare a questo -lamenta Valentina Lanza-. Il colloquio però dovrebbe essere più formale, l'uscita non è il momento opportuno e neppure il luogo più adatto per affrontare argomenti delicati”. “Occorre prevedere momenti autentici in cui dare voce alle famiglie -precisa Andrea Prandin-. E dare voce non significa necessariamente dare ragione. È solo un'opportunità per capirsi”.
Sapersi ascoltare
Capirsi. Per riuscirci è necessario applicare almeno la seconda delle regole indicate da Gianni Rodari: sapersi ascoltare. Nulla di meno scontato. “Alle famiglie vengono rivolte pochissime domande -rileva Prandin-. E quasi tutte sono domande illegittime, ovvero quelle di cui si conosce già la risposta.”. Ascoltare con sincero interesse, invece, potrebbe rivelarsi illuminante. “È fondamentale uscire dalla logica di chi ha ragione o torto su quel bambino -prosegue Prandin-. Se il genitore insiste nel negare il problema comportamentale che gli stiamo descrivendo, ascoltiamolo davvero. Il bambino a casa non si comporta come noi lo vediamo fare in classe? Interessante, è un indizio prezioso”.
Lavorare insieme
“Un progetto che ha funzionato bene nella nostra scuola –racconta la professoressa Rosa- è stato un corso di formazione per i docenti allargato anche ai genitori: ci siamo trovati seduti agli stessi banchi per imparare meglio l'inglese. Questo ha permesso a mamme e papà di vedere gli insegnanti nelle vesti di studenti in difficoltà. Ci ha resi più umani, e abbiamo riso un sacco”.
“Un lavoro a gruppi, strutturale e continuativo è perfetto -approva Alessandro Pepe-. Vanno fatti lavorare insieme, per rompere il muro di sospetto reciproco”.
”A Monza –racconta la maestra Francesca- ci siamo inventati la merenda interculturale. Ognuno porta un dolce tipico del proprio paese e tra banane fritte peruviane, gelatine dell'Ecuador e buccellati siciliani ci si conosce per davvero”. Si può andare anche oltre, facendo entrare i genitori in classe.
“Le famiglie non sono mai un nemico per la scuola –chiosa Andrea Prandin-. Sono una risorsa importantissima anche di apprendimento”. Attenzione però a non coinvolgere soltanto i genitori più istruiti: uno dei problemi più attuali è proprio la difficoltà di colmare il gap tra queste famiglie e quelle definite hard to reach, difficili da raggiungere.
Racconta Flavio Ratti: “La mia classe, una terza, era parecchio disomogenea. C'erano tanti bimbi stranieri e alunni divisi tra classi sociali molto elevate e molto basse, senza vie di mezzo. Allora ho scelto il tema del viaggio e ho coinvolto le famiglie. Sono venuti un papà egiziano e una mamma albanese a raccontare come sono riusciti a raggiungere l'Italia. Una mamma italiana che per un periodo era emigrata negli Stati Uniti. E un'altra mamma, giornalista, che ha attraversato il deserto seguendo le rotte dei migranti”. Un esempio perfetto di alleanza educativa.