La tesi è dirompente. Parte da un dato di fatto: solo chi nasce bene va avanti. Si laureano i figli delle famiglie colte e benestanti. Quelli appartenenti al ceto medio-basso non ce la fanno. Ma in merito alla causa di questo fenomeno, Paola Mastrocola, docente al liceo e scrittrice, e suo marito Luca Ricolfi, sociologo e docente universitario, smontano un luogo comune. Nel libro Il danno scolastico (edito da La nave di Teseo), scritto a quattro mani, sostengono che le origini e l'ambiente contano certamente. Ma se il figlio dell'idraulico non ce la fa a laurearsi la colpa è soprattutto della scuola. Di un certo tipo di scuola: quella democratica, progressista, inclusiva.
“Una scuola che si è scostata dalla sua sostanza culturale per diventare altro: centro di socializzazione, di aiuto psicologico, di formazione alla cittadinanza”. E per fare questo, ha abbassato pesantemente la qualità dell'istruzione. Così, il figlio dell'idraulico non ce la fa non perché è nato nel ceto sbagliato. Ma perché la scuola non lo ha adeguatamente preparato. È la scuola che ne ha fatto uno svantaggiato. Una buona preparazione avrebbe potuto elevarlo e invece è stato condannato a rimanere in basso. Ecco il danno, enorme.
Credits: La nave di Teseo
INTERVISTA A PAOLA MASTROCOLA, CO-AUTRICE DE IL DANNO SCOLASTICO
Confesso che il suo libro mi ha fatto molto riflettere e mi ha anche emozionata: si sente la passione intensa per l'insegnamento e la preoccupazione sincera per la sorte dei ragazzi. Eppure, stento a credere che la colpa sia della scuola inclusiva: un ideale che mi sembra nobile e opportuno...
La scuola deve tenere tutti insieme, ci mancherebbe... ma come? Le racconto cosa è capitato recentemente a un consiglio di classe. Una prima molto turbolenta, i genitori chiedevano maggiore severità. Uno degli insegnanti ha detto: “meglio un ragazzo delinquente in meno che cinquanta più colti”. Io non sono d'accordo. La scuola dell'aiuto (quasi un'assistente sociale) per forza di cose abbassa il livello dell'istruzione. Potremmo anche pensare che va bene così, pur di aiutare i ragazzi più svantaggiati. Ma il problema è che le famiglie di ceto medio alto quella mediocrità la compensano perché i genitori fanno leggere libri ai figli, li mandano a lezione privata, pagano loro gli studi nei luoghi di eccellenza. Le famiglie di ceto medio-basso invece si beccano la scuola mediocre e basta. È vero che non abbiamo bocciato nessuno, li abbiamo tenuti tutti insieme nello stesso brodo. Ma non avendo dato loro un'istruzione alta, abbiamo solo spostato il problema più avanti. Perché questi ragazzi, che noi promuoviamo alle elementari, alle medie, al liceo, poi si fermano. Chi non ha fatto bene Grammatica come diavolo fa a fare Latino? Rema un anno o due, ma al massimo al secondo quadrimestre del secondo anno ci saluta, a volte con le lacrime agli occhi. È questo che volevamo?
Io vedo una scuola effettivamente orientata all'inclusione alle elementari e alle medie. Al liceo no, anzi. Il liceo mi sembra puramente selettivo. Lì o ce la fai da solo o sei fuori.
Esiste uno scandaloso scollegamento tra gli otto anni di scuola primaria e secondaria di primo grado da una parte e il liceo dall'altra. Elementari e medie sono state drasticamente cambiate negli ultimi anni e sono diventate appunto la scuola democratica, inclusiva, progressista, sperimentale, moderna, aggiornata, pedagogica. Il liceo invece non è stato toccato. È quello di una volta anche se molto annacquato perché il latino non si riesce più a farlo, la letteratura al biennio si propone sempre meno perché non sanno nemmeno l'ortografia... Però più o meno il sistema è quello. Ma non è affatto selettivo come dice lei, lo è in minima parte. È molto difficile bocciare un ragazzo. A volte se ne boccia uno per classe in prima e in seconda e poi mai più, e solo se ha almeno cinque materie insufficienti in maniera grave. Ne fermiamo pochissimi. Purtroppo se ne vanno da soli, è questa la vera dispersione scolastica. Ragazzi che non ce la fanno e quindi cambiano scuola, lasciano il liceo e vanno a un istituto tecnico. Se il liceo è rimasto uguale, bisogna avere una scuola elementare e media che prepari ad affrontarlo. Se non prepara adeguatamente, torniamo al punto cruciale. La famiglia benestante manda il ragazzino già in terza media a lezioni private di Latino per portarlo avanti. Invece l'alunno di ceto medio-basso arriva assolutamente inerme e impreparato e si becca tutti 4 per un anno. O raddrizziamo elementari e medie o sfasciamo anche il liceo, perché per me si tratta di uno sfascio, e rendiamo tutto omogeneo. Così non funziona, è come ci fosse una faglia tra i due continenti.
I ragazzi sempre più spesso sono disperati, vanno profondamente in crisi...
Certo! Li stiamo allevando evitando loro la minima frustrazione, il minimo ostacolo. Chiediamo loro cosa vogliono, siamo al loro servizio. Spianiamo loro la strada. È ovvio che appena prendono un 4 in prima liceo si sentono disperati. Noi alla loro età eravamo capaci di sopportare brutti voti o anche delle umiliazioni in classe, una brutta figura. Loro invece arrivano a casa e si lamentano e il genitore cosa fa? Va dall'insegnante a dirgliene quattro. Oppure fa ricorso. La disperazione dei ragazzi è il segno del nostro fallimento educativo. Dovremmo dire loro: ti disperi? Ma cammina e studia!
Non è che la principale causa di questo depauperamento della qualità della scuola deriva dal depauperamento della qualità dei docenti, della loro preparazione?
Ha ragione, ma noi questo lo diciamo nel libro. Raccontiamo proprio l'evoluzione in negativo della preparazione dei docenti. I nostri maestri erano infinitamente più colti di noi, e noi siamo infinitamente più colti dei nostri colleghi di trent'anni e via così. I miei maestri avevano letto tutti i libri, sapevano tutto. Oggi però insegnare non è più trasmettere il sapere, è altro. L'insegnante di una volta, bravo e colto, noi non lo vogliamo più nella scuola progressista perché è discriminatorio: l'insegnante che sa, poi esige. E se esige discrimina, per forza.
Il libro termina con un'accorata lettera ai genitori in cui chiede loro di interferire, di pretendere dai docenti il rispetto di determinati standard. In un'epoca in cui l'ingerenza dei genitori nella scuola è spesso abnorme e dannosa, dal momento che difendono sempre i figli, siamo sicuri che sapranno intervenire nel modo giusto?
È vero, c'è un'incongruenza. Ma io chiedo loro di intervenire su cose sulle quali non intervengono mai. Di intervenire se c'è un danno cognitivo e culturale sui loro figli. Di protestare se un'insegnante non fa mai leggere un libro o non svolge fino in fondo il programma. Ai genitori dico: guardate che stiamo sfornando ragazzi impreparati, che non andranno da nessuna parte. Anche se vi sembra una scuola divertente, socializzante, inclusiva, democratica, poi la pagheranno perché il mondo del lavoro se non sai scrivere una lettera in italiano corretto ti manda a stendere! Quindi per favore genitori, invece di interferire su quante gite si fanno, su quanti corsi di lingua straniera o quante palestre ci sono, vogliamo per piacere vedere se vostro figlio sa leggere e scrivere? E se non lo sa, vogliamo protestare? Ma so che non lo faranno mai, perché siamo una società edonistica e consumistica. Noi vogliamo il benessere dei nostri figli. Non amiamo più lo studio perché è faticoso, solitario, noioso. Non lo accettiamo noi adulti, figuriamoci i ragazzi! Va bene così, però poi non lamentiamoci dei test PISA dove siamo sempre ultimi, non lamentiamoci che i nostri figli non trovano lavoro. Ma lo sa quanti imprenditori non trovano ragazzi da assumere perché sono incapaci?
Il problema è che la scuola è lo specchio della società. Il rispetto e l'ammirazione profonda per la cultura non ci sono più.
Non ci crediamo più. I miei genitori ci credevano, perché venivano da un mondo in cui non studiava quasi nessuno e allora certo che per loro mandare una figlia al liceo classico è stato il massimo.
Una possibile via d'uscita?
Non c'è. Sfasceremo anche il liceo e diventerà una scuola divertente, inclusiva, per il benessere dei nostri ragazzi. Nessuno soffrirà. Stiamo soffrendo solo noi, che siamo vecchi e tra poco ce ne andremo. Tra dieci anni non ci sarà più nessuno a lamentare questa scuola decadente perché non si vedrà più la decadenza. Sarete tutti felici. Però permettetemi soltanto una considerazione, amara: per quel che riguarda la mia materia, se noi facciamo una scuola in cui non rendiamo più i ragazzi capaci di comprendere un testo complesso, vuol dire che butteremo a mare millenni di arte e letteratura. A breve l'umanità non sarà più in grado di leggere Shakespeare, Goethe, Dante e così via. E quindi li elimineremo. Andremo avanti benissimo lo stesso, glielo dico già. A noi, ai docenti della mia generazione, si stringe il cuore. Ma spariti noi non ci sarà più questo dolore per nessuno.
È proprio impossibile coniugare inclusione e qualità dell'insegnamento?
Io ho sempre pensato che la cultura fosse inclusiva e che con la cultura si aiutassero i ragazzi molto più che con “l'ora di ascolto”. Ho sempre usato Dante, Petrarca, Montale e Leopardi per aiutarli. Sono molto arrabbiata per questa contrapposizione, per cui o ami la materia o ami i ragazzi. Si va a insegnare perché si ama quello che si insegna. Poi, è ovvio che lo si fa per il bene dei ragazzi. Però non si va a insegnare perché si ama i ragazzi. Tu ama la matematica e la letteratura e vedrai che questo aiuterà i ragazzi. Invece ora l'insegnante somiglia a una specie di crocerossino... Trovo che si sia inasprito il clima, chi pensa come me o come Luca è additato come appartenente alla scuola vecchia, decrepita, antiquata. Ma la scuola ha dei pilastri eterni, su cui si innestano ovviamente delle innovazioni. Però mi spiega come devo insegnare Dante in modo innovativo? L'innovazione va bene per alcune materie ma non per altre. Quali competenze spendibili per il mondo del lavoro dovrà mai offrire la letteratura italiana? Dobbiamo anche accettare che la cultura sia qualcosa di astratto. E' un sapere astratto, che arricchisce l'anima, che forma la persona. Non puoi chiederne una spendibilità immediata e concreta per il mondo del lavoro. Semmai progettiamo bene dei percorsi per chi non ama lo studio astratto, potenziamo le scuole tecnico-professionali perché molti ragazzi preferiscono quelle. Lì sì che vanno bene i lavori di gruppo, i laboratori... Poi però anche a loro dobbiamo insegnare un po' di teoria, perché non posso pensare che una persona, qualsiasi lavoro faccia, non sappia leggere e scrivere. Non ci posso pensare.