Quando si pensa al bullo, in genere si pensa a un unico profilo. In realtà, per la mia esperienza di tanti anni accanto a bambini e ragazzi che avevano manifestato problemi comportamentali, possiamo tratteggiare almeno tre differenti tipologie. Io li chiamo il bullo di ghiaccio, il bullo di fuoco e il bullo di fango. Ciascuna di queste tre tipologie rivela una diversa difficoltà nel gestire il proprio mondo interno, che finisce per riversarsi in modo distruttivo, prepotente e mortificante sugli altri.
Il bullo di fuoco
Il bullo di fuoco è spesso un bambino o un adolescente fortemente impulsivo, che trova difficoltà nel gestire la propria emotività, in quella che si chiama auto-regolazione, e per questo tende a infuocare il mondo. Nel mio libro Mio figlio è un casino (Feltrinelli editore) parlo dei genitori zucchero-filato: ecco, spesso i bulli di fuoco sono i loro figli. Il genitore zucchero filato, in buona fede, cerca di educare il figlio secondo l'idolo della felicità. Vuole che il figlio sia felice.
Chiaramente si tratta di un desiderio che ogni genitore auspica per il proprio figlio. Il problema, però, è che il genitore zucchero filato, dicendo “voglio che tu sia felice”, implicitamente aggiunge “a qualsiasi costo”. Questo fa sì che il genitore zucchero filato non riesca a dare i giusti limiti, le giuste regole al bambino. Le regole sono un dono d'amore perché la regolazione esterna aiuta il bambino a comprendere via via proprio l'arte dell'auto-regolazione, ovvero la capacità di gestire il fuoco interiore della propria impulsività. Di conseguenza, il bullo di fuoco non è in grado di maneggiare il proprio fuoco interiore e ha reazioni impulsive, aggressive e prepotenti nei confronti dei compagni. Va detto che spesso questa tipologia di bullo non vuole intenzionalmente ferire l'animo dei propri compagni e nel proprio cuore si sente dispiaciuto di aver perso per l'ennesima volta il controllo delle proprie emozioni.
Il bullo di ghiaccio
Il bullo di ghiaccio ha una configurazione emotiva differente. Il ghiaccio, a differenza del fuoco, ci rimanda a un cuore che è dovuto diventare duro. Un cuore freddo. Il bullo di ghiaccio fa fatica a mettersi nei panni dei compagni, potremmo dire che fa fatica a sentire il sentire dell'altro. La difficoltà qui non è nell'auto-regolazione ma nella risonanza empatica, ovvero nel sentire l'effetto dei propri comportamenti sugli altri.
Spesso, anche se non si può generalizzare, possiamo dire che dietro un bullo di ghiaccio c'è una seconda tipologia di genitore descritta nel mio libro: il genitore sceriffo. Questi educa non nel segno dell'idolo della felicità ma nel segno dell'idolo delle regole. Anche se a prima vista sembra la giusta contromisura al genitore zucchero filato, in realtà il genitore sceriffo compie un errore per certi versi ancora più grave, non comprendendo che sì, le regole sono un dono d'amore ma a una condizione: che vengano date dentro un contesto d'amore, dentro una casa calda, in cui il bambino si senta amato, desiderato, visto.
Il problema del bullo di ghiaccio infatti è quello di sentire nel profondo del proprio cuore di non essere nello sguardo dei propri genitori. Questo per il bambino è un dolore a tratti insostenibile e il bambino o il ragazzo si vede così costretto a indurire, a raffreddare, a congelare il proprio cuore per non sentire quel dolore. Il bullo di ghiaccio non è un bambino cattivo, ma un bambino che ha dovuto abituarsi al freddo dell'esistenza che ha trovato nella propria famiglia per provare a sopravvivere emotivamente.
Il bullo di fango
La terza tipologia che andremo a vedere è quella del bullo di fango. È un bambino, un ragazzo, che ha subìto ripetutamente il fango dell'umiliazione, il fango della mortificazione, il fango della vergogna. È dovuto crescere con un genitore che invece di essere, come descrivo nel libro, un porto sicuro per lui, è stato un vero uragano di critiche, di umiliazioni, di continue ferite inferte alla sua anima.
Dobbiamo comprendere che dentro questa mortificazione possiamo avere varie sfumature, dal genitore che con i suoi occhi di pietra, con i suoi silenzi di pietra, fa sentire al bambino di essere una delusione, fino al genitore uragano vero e proprio, che è fondamentalmente una figura del trauma, una figura dell'abuso, dell'umiliazione ancora più radicale. La vergogna, che è l'emozione che viene tatuata nel cuore del bullo di fango, è un'emozione terribile, si va a infiltrare in ogni interstizio dell'anima del bambino.
La vergogna fa sentire il bambino non meritevole di amore, non degno di amore. A volte il bambino annega nella vergogna e quindi abbiamo tutti quei bambini e ragazzi che iniziano ad avere delle condotte autolesive, autodistruttive, che iniziano con il non impegnarsi a scuola, secondo questo principio: “Se faccio schifo, se sono pieno di fango, perché mi dovrei impegnare, perché dovrei metterci le mie energie se tanto sono privo di valore?”.
All'estremo opposto invece abbiamo l'etero-distruttività e questo ci porta al bullo di fango che è dunque quel ragazzino che nel disperato tentativo di liberarsi dal fango dell'umiliazione che ha ricevuto inizia a lanciare il proprio fango sul mondo. Noi sappiamo che in adolescenza il compito più importante è un compito identitario, l'adolescente deve saper far nascere se stesso in un'ottica creativa, deve creare la propria identità. Allora tutti quei ragazzini che diventano dei bulli di fango e iniziano a essere protagonisti di atti vandalici e distruttivi non solo verso le persone ma anche verso la comunità, verso gli adulti, verso la scuola, sono fondamentalmente ragazzini che da un lato gettano questo fango per cercare di liberare se stessi ma dall'altro sembrano essere mossi da un principio, da una credenza che suona più o meno così: “Se non posso far nascere me stesso nella bellezza, diventerò il distruttore del mondo”. Distruggo dunque sono, potremmo dire.
Non umiliare ma aiutare
Dobbiamo però capire che l'umiliazione del bullo non può mai essere la strategia corretta. Non solo non può essere la soluzione al problema del bullismo, ma l'umiliazione molto spesso è la causa che porta i ragazzi a diventare dei distruttori e dei lanciatori di fango. Allora che cosa dobbiamo fare? Sicuramente il bullo va aiutato.
Il bullo di fuoco va aiutato ad apprendere l'arte della regolazione delle emozioni. Il bullo di ghiaccio ha bisogno di sentirsi nello sguardo di qualcuno. Il bullo di fango invece deve essere aiutato più di tutti a elaborare l'emozione della vergogna che ha intaccato fin nel profondo la sua anima.
I bulli non solo non devono essere allontanati da scuola ma hanno bisogno di più scuola di tutti gli altri. E la cifra a mio parere che deve caratterizzare il lavoro della scuola è soprattutto quella dell'educazione emotiva. Non si può educare un bullo dal punto di vista comportamentale perché l'origine delle sue problematiche comportamentali come abbiamo visto risiede in una difficoltà nella regolazione delle emozioni.
Una regolazione delle emozioni che passa inevitabilmente da una co-regolazione, ovvero dall'incontro con qualcuno, che io chiamo un adulto-porto sicuro: un insegnante, un educatore, che faccia sentire questi ragazzi meritevoli di amore, meritevoli di valorizzazione. All'interno di questa relazione-porto sicuro l'adulto, emotivamente intelligente, può insegnare loro l'arte dell'empatia, l'arte della responsabilità e soprattutto l'arte di imparare a navigare nel grande mare delle emozioni.
(Testo raccolto da Barbara Leonardi)
Stefano Rossi è psicopedagogista scolastico, formatore e autore di diversi libri per insegnanti, genitori e alunni. Ha sviluppato il Metodo Rossi della Didattica Cooperativa. Dall'ultimo libro "Mio figlio è un casino" è tratta questa guida sul bullismo.
Prima puntata - Bullismo, una guida per gli insegnanti
Seconda puntata - Bullismo, chi sono i bulli. Tre tipologie (questo articolo)
Terza puntata - Vittime del bullismo. Come aiutarle
Quarta puntata - I testimoni, protagonisti degli episodi di bullismo (in progress)