L'attivismo per l’ambiente ha un volto giovane. È non è solo quello iconico di Greta Thunberg, che con il suo sciopero per il clima ha conquistato migliaia di ragazzi. Ma sono tanti. Da Boyan Slat che combatte le plastiche in mare a Severn Cullis-Suzuki, che a 12 anni ha parlato di ambiente al Summit Onu della Terra, o la piccola Rabab contro il goveno pakistano. È la forza di una generazione che sta prendendo coscienza del proprio futuro.
BOYAN SLAT
Ha iniziato a trafficare con le sue invenzioni all’età di due anni, e non ha mai smesso. A 14 anni è entrato nel Guinness dei primati lanciando simultaneamente 213 razzi ad acqua. Boyan Slat, nato in Olanda nel 1994 da genitori di origine croata, è oggi un inventore e imprenditore che è riuscito a raccogliere da donatori di tutto il mondo 30 milioni di dollari per realizzare il suo sogno: ripulire gli oceani dalla plastica.
L’idea gli è venuta a 16 anni, quando durante un’immersione in Grecia ha incontrato più sacchetti di plastica che meduse. Ha approfondito la questione in un progetto per il liceo. Poi è riuscito a inventare un sistema passivo per la raccolta della plastica che sfrutta la circolazione delle correnti oceaniche. Nel 2013, a 18 anni, ha fondato la sua società, The Ocean Cleanup, con soli 300 euro. Oltre 38mila persone da 16 Paesi diversi gli hanno dato fiducia e soldi. Tra loro, anche alcuni grandi imprenditori. Così, Boyan è riuscito a costruire davvero il suo spazzino del mare. Per la verità, il primo prototipo testato in mare aperto non ha funzionato granché: la forza del vento e delle onde aveva creato una velocità di deriva troppo elevata, e troppi quintali di spazzatura erano sfuggiti alla cattura. Ma Boyan non si è dato per vinto e ha modificato la sua invenzione, posizionando un’ancora a quasi 600 metri di profondità. In questo modo è stato possibile rallentare la velocità di crociera di Ocean Cleanup e ingabbiare più di 5 tonnellate di rifiuti in un solo mese.
«È un sistema passivo che non crea problemi all’ambiente e agli animali» spiega Boyan «e in cinque anni potrebbe eliminare fino alla metà della grande isola di plastica presente nel Pacifico». Il progetto è raccontato in un video della Rsi, la tv svizzera.
Recentemente Boyan Slat ha lanciato una nuova sfida: intercettare la plastica nei fiumi, prima che possa raggiungere i mari e gli oceani. Si chiamano Interceptor i nuovi spazzini: sono una sorta di barriere-chiatte lunghe 24 metri che funzionano a energia solare e possono lavorare 24 ore su 24, raccogliendo 50mila chili di rifiuti al giorno o perfino il doppio in condizioni ideali. L’ambizione è riuscire a intercettare nei prossimi cinque anni la plastica nei mille fiumi più inquinati del pianeta. Nel 2014 a soli 20 anni Boyan Slat ha ricevuto il premio delle Nazioni Unite Champion of the Earth proprio per il suo impegno ambientalista.
«Credo fermamente che l’azione ispiri altra azione, quindi creare esempi di come risolviamo un problema usando il meglio che l’umanità ha da offrire, la nostra ingenuità, la nostra capacità di creare cose dal nulla
e la nostra abilità di collaborare e lavorare insieme in maniera efficace, è ciò di cui il mondo ha bisogno»
SEVERN CULLIS-SUZUKI
Severn Cullis-Suzuki è la bambina che zittì il mondo per sei minuti. Canadese, figlia di una scrittrice e di un ambientalista, alle elementari fondò l’Environmental Children’s Organization (Eco), un gruppo di bambini interessato a sensibilizzare i propri coetanei sulle problematiche ambientali. Nel 1992, quando aveva 12 anni, insieme ad altri tre ragazzini raccolse fondi sufficienti per pagarsi il biglietto aereo fino a Rio de Janeiro, dove si teneva la Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo organizzato dall’Onu.
Severn parlò davanti ai delegati di tutto il mondo: un toccante e intenso discorso sull’emergenza ambientale dal punto di vista dei bambini e un atto di accusa per i potenti della Terra che, appunto, zittì e commosse tutti.
«Sentivamo che era importante andarci» raccontò poi Severn. «Sarebbe stato il solito incontro di vecchi, seduti attorno a un tavolo, a prendere decisioni che avrebbero avuto conseguenze sul nostro futuro e su quello delle future generazioni. Volevamo essere la loro coscienza, ricordare loro che le decisioni prese avrebbero
davvero avuto un impatto». I delegati di tutte le Nazioni si alzarono in piedi per applaudirla e Severn l’anno successivo ricevette il Global 500 Roll of Honour dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Oggi
è attivista ambientale, speaker, conduttrice televisiva.
Il video di quel discorso è stato visto 18 milioni di volte ma, secondo Severn, non si può dire che abbia avuto successo. «È difficile valutare se abbia davvero avuto un effetto nel modificare la coscienza ambientale delle persone. Io penso di no». Naturalmente, Severn non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. «A Rio avevo soltanto 12 anni e combattevo per il mio futuro. Ora combatto per il futuro dei miei figli»
RABAB ALI
Nel 2016, a soli 7 anni, Rabab Ali ha fatto causa al governo del suo Paese, il Pakistan. La bambina, assistita dal padre avvocato, a nome dell’intero popolo pakistano si è rivolta alla Corte suprema per difendere i diritti fondamentali alla vita, alla libertà, alla proprietà, alla dignità, all’informazione e all’eguaglianza davanti alla legge. Secondo Rabab, questi diritti, protetti dalla costituzione, sono messi in pericolo per la sua generazione dalle scelte scellerate in materia ambientale del governo pakistano, in particolare dalla decisione di continuare a sfruttare i giacimenti di carbone invece di promuovere il ricorso a energie pulite.
«La protezione di questi diritti inalienabili è essenziale se vogliamo avere qualche possibilità di consegnare alle future generazioni un sistema climatico stabile e un ambiente in grado di sostenere la vita umana sul nostro pianeta» ha dichiarato il padre di Rabab, Qazi Ali Athar. La petizione presentata alla Corte sostiene che le scelte del governo in materia energetica hanno un impatto notevole sui cambiamenti climatici in Pakistan.
Il Paese negli ultimi anni è stato colpito da frequenti e devastanti alluvioni, ondate di calore e siccità, cicloni. Più volte, in accordi internazionali, il Pakistan si era impegnato a promuovere uno sviluppo sostenibile e a diminuire il ricorso al carbone ma queste promesse sono state disattese. Anzi, i piani di sviluppo prevedono un incremento ulteriore nelle emissioni di CO2 attraverso lo sfruttamento di ampi giacimenti di carbone di bassa qualità ancora intatti. Rabab spera che la Corte suprema possa imporre al governo di fare la sua parte nella riduzione della CO2 in atmosfera e ha dichiarato: «Voglio che il mio governo garantisca a me e alle future generazioni un ambiente sano in cui crescere».
«I giovani si stanno ribellando in tutto il mondo e in molti hanno trascinato in tribunale i governi per proteggere il loro inalienabile diritto a un sistema climatico stabile» racconta Julia Olson, direttrice dell’organizzazione no profit Our Children’s Trust che segue la causa intentata da 21 ragazzi americani contro il governo statunitense. Cause simili sono state intentate in Uganda, Ucraina, India, Canada, Francia, Inghilterra, Australia, Olanda, Colombia, Filippine, Norvegia.
TOMMASO SPERONI E FEDERICO GARCEA
«Imperterrito autodidatta, testardo e sognatore». Così si autodefinisce Tommaso Speroni e racconta: «A 14 anni è nato il mio interesse per le piante e da allora ne ho fatto la mia passione, la mia fonte di curiosità e la mia sorgente di idee». Tommaso, insieme all’amico Federico Garcea, era un appassionato di Farmville, il videogioco che permetteva di coltivare un proprio giardino virtuale comprando le piante con soldi reali. Tommaso e Federico hanno pensato che, anziché acquistare alberi virtuali, sarebbe stato molto meglio spendere i propri soldi per piantare alberi veri. È nata così Treedom, l’unica piattaforma web al mondo che permette di piantare un albero a distanza.
Ogni albero di Treedom ha una pagina online, viene geolocalizzato e fotografato, può essere custodito o regalato virtualmente. I soldi dell’acquisto vanno ai contadini e li sostengono nei primi anni della coltivazione, quando ancora l’albero non dà i suoi frutti. Gli agricoltori sono assistiti dai tecnici di Treedom nella piantumazione e nella gestione. Si tratta di piccoli progetti agroforestali che puntano a realizzare ecosistemi sostenibili garantendo non solo un miglioramento dell’ambiente, ma anche le condizioni economiche e di vita dei contadini. Le specie scelte sono native e rispettano la biodiversità dei territori in cui vengono messe a dimora. Spesso all’ombra di questi alberi è possibile avviare coltivazioni anche in condizioni climatiche difficili.
E, naturalmente, le piante assorbono CO2, generando un beneficio per l’intero pianeta.
Dalla sua fondazione, nel 2010 a Firenze, Treedom ha piantato oltre un milione di alberi in Africa, America Latina, Asia e Italia. Treedom consente agli agricoltori di avviare anche piccole imprese imprenditoriali, aiutandoli a colmare il divario temporale tra la piantumazione, la crescita e la rendita dell’albero. Su Treedom si possono acquistare alberi di mango, cacao, arancio, pompelmo, macadamia e altri. I progetti oggi coinvolgono quasi 600 aziende, più di 116mila persone e oltre 26mila agricoltori che diventano proprietari degli alberi donati e vengono seguiti con corsi di formazione.
Secondo uno studio della Banca mondiale, nel mondo circa 2 miliardi di ettari di superficie forestale sono danneggiati o distrutti. Il Global Forest Watch stima che nel solo Camerun, tra il 2001 e il 2010, siano andati distrutti circa 353mila ettari di superficie forestale. Gli effetti della deforestazione nella regione vanno dall’erosione delle terre agricole al prosciugamento di bacini idrici alla desertificazione, dalla scomparsa di specie vegetali e animali alle modifiche delle condizioni climatiche locali e regionali, con ripercussioni anche sul riscaldamento globale.
E proprio in Camerun Tommaso e Federico avevano partecipato a un progetto di elettrificazione dei villaggi rurali. «Le foreste venivano depredate e gli abitanti dei villaggi venivano pagati per tagliare gli alberi» racconta Federico Garcea. «Noi volevamo invertire questa tendenza»)