Sono passati tredici anni da quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella 42esima seduta plenaria del novembre 2005, designò il 27 gennaio di ogni anno come "giornata della memoria". Da allora in ogni scuola si commemorano le vittime dell'Olocausto. In realtà già nel 2004 esperti internazionali della Taske force for international cooperation on Holocaust Education, avevano tracciato le linee guida per l’insegnamento della Shoah.
SCUOLA E MEMORIA
Ma come si può raccontare a dei bambini lo sterminio di ebrei, avversari politici, rom, omosessuali e testimoni di Geova? Non è facile dare risposte semplici ad una storia complessa come quella accaduta nella metà del secolo scorso, in un tempo lontano dalla vita dei bambini di questo secolo. Lo abbiamo chiesto a Marcello Pezzetti, uno dei massimi studiosi italiani della Shoah, membro della commissione storica della Fondation pour la Mémoire de la Shoah di Parigi e del consiglio del Centrum Edukacji del Museo di Auschwitz-Birkenau [, oltre ad essere delegato italiano della Task Force for International Cooperation on Holocaust, Remembrance and Research. È lui ad aver ad aver fatto da consulente storico a Roberto Benigni per il film La vita è bella.
“Con i bambini più piccoli non è per nulla facile parlare di questi concetti. L’unico modo da usare è far leva sull’idea di separazione. La separazione dalle cose, dalla casa fino ad arrivare alla separazione dagli amici, dalla scuola, dalla vita”. Pezzetti ha in mente la storia di tanti ebrei e non solo come Liliana Segre che racconta in “Fino a quando la mia stella brillerà” quando si è ritrovata prima emarginata, poi senza una scuola e persino con la maestra che l’ha rinnegata. Pezzetti confida che si è sempre trovato in difficoltà di fronte alle richieste pressanti dei bambini ma è certo di una cosa: ogni insegnante sa fino a che punto può arrivare. “Il tema è il “come” insegnarlo non solo il “cosa”.
"Ho visto – dice l’esperto - docenti che affrontano in maniera troppo diretta la questione. Parlando con psicologi dell’Università di Milano mi suggerivano di non presentare in maniera forte la realtà della morte ed essere ben attenti al tessuto della classe”, continua Pezzetti.
Un esempio? “Io lavorerei molto sulle stelle gialle che sono costretti ad indossare gli ebrei oppure sulle fotografie: ci sono immagini di classi con bambini ebrei e altre dove sono spariti. C’è persino una fotografia di Anne Frank così”.
TESTIMONIANZE E LIBRI
Vietato, invece, portare i bambini a visitare i campi di sterminio, “se non dall’esterno”, suggerisce lo storico. In genere tra l’atro ufficialmente sono vietati ai minori di 14 anni. Agli insegnanti che viaggiano Pezzetti suggerisce un museo, quello di Akko in Israele dove un piano è dedicato ai bambini e un altro agli adulti. È stato realizzato insieme agli psicologi e lì non si vede la foto di un solo cadavere e i bambini possono lavorare in una sorta di laboratorio con gli operatori.
Anche il lavoro sui disegni dei bambini del ghetto di Terezin può essere utile. Esiste un libro in italiano Qui non ho visto farfalle che raccoglie le poesie e i disegni che sono diventati un monumento alla memoria di quei bambini a cui è stato negato di arrivare all’età adulta: “In quei colori, in quei tratti – dice Pezzetti – emerge la speranza, il concetto di sopravvivenza”.
E a proposito di testi lo storico che accompagna ogni anno la delegazione del ministero dell’Istruzione ai campi di sterminio suggerisce: Quando Hitler rubò il coniglio rosa di Juditt Kerr (edizioni Bur Rizzoli) e Il diario di Dawid Rubinowicz, i quaderni scritti da un ragazzino ebreo polacco nei primi anni Quaranta. Per leggere il Diario di Anne Frank meglio aspettare la scuola secondaria di primo grado.
I LUOGHI DELLA MEMORIA
Ci son dei luoghi che un insegnante dovrebbe conoscere: sono i “luoghi” della memoria. Bisogna partire da Fossoli campo di raccolta per gli ebrei provenienti dal territorio. Seconda tappa: Trieste, alla Risiera di San Sabba, utilizzato come campo di detenzione di polizia nonché per il transito e l'eliminazione di un gran numero di detenuti, in prevalenza prigionieri politici o ebrei. Terza “sosta”: Milano, al Binario 21 dov’è possibile vedere ancora il convoglio sul quale transitarono fra il 1943 e il 1945 migliaia di ebrei tra i quali Liliana Segre. Quarta tappa: il campo di internamento di Ferramonti, nel comune di Tarsia in provincia di Cosenza, che è stato il principale (in termini di consistenza numerica) tra i numerosi luoghi di internamento per ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi aperto dal regime fascista tra il giugno e il settembre 1940, all'indomani dell'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Infine nelle Marche il campo di internamento di Urbisaglia che venne allestito, tra il giugno 1940 e l'ottobre 1943, nella villa Giustiniani Bandini presso l'Abbadia di Chiaravalle di Fiastra e il campo di prigionia di Servigliano (nella Prima Guerra Mondiale) che diventò di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale.
LE SORELLE BUCCI
Andra e Tatiana Bucci, oggi hanno i capelli bianchi e il volto solcato dalle rughe ma per la storia sono rimaste due dei cinquanta bambini sopravvissuti al campo di sterminio di Birkenau, in Polonia. Gli altri, oltre 200 mila ragazzini sotto i dieci anni, catturati e imprigionati sono stati ammazzati. Andra e Tati, rispettivamente 77 e 79 anni, sono tornate a casa solo perché sono state scambiate per gemelle. A raccontare la loro storia c’è anche un cartone animato, il primo mai realizzato in Europa sul tema. Si intitola La stella di Andra e Tati e narra la storia delle sorelle Bucci, deportate ad Auschwitz-Birkenau all’età di 4 e 6 anni. Il cartoon, la cui regia porta la firma di Rosalba Vitellaro e Alessandro Belli, è stato sostenuto dal MIUR, in collaborazione con la RAI e Larcadarte.