Inutile presentarlo, Gianni Rodari: è stato compagno dei bambini e delle bambine per molte generazioni. Era al fianco di chi è stato spettatore del lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, nel 1957; di chi ha assistito allo sbarco sulla Luna nel 1969; di chi è stato accompagnato fuor dall’infanzia da Zorro, Sandokan e Pippi Calzelunghe negli anni ‘70 e via via fino ai giorni nostri, passando per i cartoni animati giapponesi e Harry Potter. Sono cambiati molti dei compagni di avventure dell’età bambina, ma Rodari è rimasto. Del resto, è ancora oggi l’unico scrittore italiano vincitore del Premio Andersen internazionale, che si è aggiudicato nel 1970. È una presenza talmente accettata e data per scontata, da rischiare di divenire un luogo comune: uno di quegli scrittori di cui tanti parlano, ma pochi lo conoscono.
Prendiamo la storia dei nani di Mantova, uno degli ultimi racconti pubblicati da Rodari, pochi mesi prima della sua scomparsa. Si tratta di nani che vivono in un appartamento costruito apposta per loro dentro il Palazzo Ducale di quella città: tutto è in miniatura, alla loro portata. Eppure i nanetti sanno di essere mantenuti lì solo per capriccio: per divertire e distrarre i duchi. I nani non possono uscire, sanno di essere in prigione: stanchi di essere così piccoli e di vivere reclusi in quelle stanze, s’interrogano sulla loro sorte. Eppure non osano ribellarsi. È solo quando il Duca li costringe a un’ennesima umiliazione che decidono finalmente di fuggire. Ed è lì che, piano piano, accade il miracolo: superando la paura, iniziando a lavorare fra la gente “normale”, chi come pescatore, chi come ombrellaio, chi come sarta o panettiere. E giorno dopo giorno, comprendono che a farli rimanere piccoli era la loro stessa incapacità di ribellarsi. Quando il Capitan Bombarda, capo delle guardie, cerca di recuperarli e convincerli a tornare a casa, i nani riescono a sconfiggerlo con l’aiuto di molti amici e a guadagnare definitivamente la libertà. E lasciano il capitano con un palmo di naso, cantandogli così: “Oh capitan Bombarda / riporta a tutti quanti / che uniti anche in nani / diventano giganti”.
C’è tanto Gianni Rodari in queste poche parole, che suonano paradossali e divertenti. Li vedi, questi nani, tutti insieme, magari persino uno sopra l’altro, disordinati ma così uniti da superare in grandezza e forza anche un gigante. C’è il tema della crescita del bambino, dell’uscita dal proprio nido e dell’ingresso nel mondo. C’è il tema dei mestieri, tanto caro allo scrittore di Omegna, c’è quello della diversità, che si rivela solo un errore di prospettiva. Ma soprattutto c’è uno degli elementi centrali del suo pensiero, il più importante e spesso ignorato, perché scomodo: il tema della solidarietà, dell’unione di intenti, del bene comune, dell’ottimismo della volontà, della costruzione di un mondo migliore dell’attuale, dove nessuno è “un nano”. In altre parole, c’è il tema della “rivoluzione”.
In Rodari, la fantasia è sempre uno strumento di crescita, d’indipendenza, di analisi del mondo e di spinta al cambiamento. Non si tratta di essere fantasiosi per fuggire dalla realtà, oppure di rifiutare il mondo di oggi. Al contrario: si tratta di dare a chi sta crescendo gli strumenti per analizzare il reale, per capirlo e per immaginare una società che s’impegna a risolvere i problemi che esistono. L’acquisizione del linguaggio e della sua libertà di utilizzo è un passaggio cruciale: “Tutti gli usi della parola a tutti mi pare un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo,” scrive Rodari ne La Grammatica della Fantasia.
Ma in che modo possiamo stimolare i bambini e le bambine a conquistare le parole e dare loro la libertà, a saperle usare con creatività? Dice Rodari: “Non penso che si debba cercare di parlare come il bambino, ma di parlare come il mondo di oggi. Il mondo parla al bambino non solo attraverso le parole del genitore, ma anche attraverso le immagini, attraverso le macchine, attraverso tutto quello che lo anima oggi. E non bamboleggiando ma, semmai, un gradino più in su, perché al bambino piace salire un po’, perciò il linguaggio deve farlo crescere.”
Ecco qui di seguito, proponiamo due laboratori ispirati al pensiero di Rodari: il mondo è cambiato dalla sua scomparsa e vale la pena di rinnovare la sfida. Il primo laboratorio è dedicato a un grande classico de La grammatica della fantasia, il binomio fantastico. Il secondo, invece, è ispirato alla tecnologia del mondo di oggi e ai mestieri: insomma, al mondo che circonda i bambini e le bambine e che non è il migliore dei mondi possibili.
Laboratorio 1: il binomio fantastico
Scrive Rodari: “Non basta un polo elettrico a suscitare una scintilla, ce ne vogliono due. La parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda la che provoca, la costringe a uscire dai binari dell’abitudine, a scoprire nuove capacità di significare. Non c’è vita, dove non c’è lotta,” scrive Rodari.
Si tratta dunque di far incontrare tra loro due parole dal significato abbastanza distante, come per esempio “foglia - partenza”, “ombrello - panino”, “pianeta - farfalla”. È molto importante che le due parole non siano scelte con un’associazione di significato: se il primo termine è “cane”, non è opportuno metterlo in coppia con la parola “gatto”. Due parole così vicine permettono certamente di inventare storie bellissime (per esempio una storiella in cui un cane dubbioso si chiede se la sua vera natura non sia piuttosto quella di gatto), ma non accendono la fantasia con tutto quello slancio che vogliamo avere.
Il metodo migliore per evitare le associazioni involontarie è di creare la coppia di parole affidandoci al caso. Ma come alimentare il caso? Ci sono tanti modi diversi. Si potrebbe aprire un libro e leggere la prima parola in alto della pagina di sinistra e associarla con l’ultima parola in basso a destra. Potremmo usare il dizionario, per esempio. Avrebbe il pregio di far riscoprire questo splendido strumento, ma avrebbe un difetto pericoloso: potrebbero uscirne termini poco comprensibili e frustranti per i ragazzi.
Faremo dunque proporre le parole con le quali giocare ai bambini stessi. In questo modo si rispetta il loro registro e, attraverso l’incontro due parole, diamo alle parole stesse la possibilità di acquistare nuovi significati, di intraprendere nuove vie di esplorazione.
Ecco un’ipotesi di lavoro pratica in cui coinvolgere tutta la classe.
• Si preparano tante striscioline di carta quanti sono i bambini.
• Si chiede ai bambini di scrivere una parola su una strisciolina di carta, di ripiegarla e metterla in un contenitore, come per esempio una scatola da scarpe foderata, sul cui tappo sia stata praticata una fessura abbastanza ampia.
• Quando i bambini hanno consegnato le loro striscioline ripiegate, si procederà all’estrazione delle parole. Uno di loro estrae una prima parola, la legge e la scrive alla lavagna (digitale o meno).
• Diamo a tutti il tempo di leggere e di pensare alla parola estratta. Che cosa ne pensano? Quali immagini fa venire loro in mente?
• Un secondo bambino estrale una seconda strisciolina, e copia la parola che vi scopre, scrivendola di fianco alla prima. Che cosa ne pensano di questa coppia? Quali immagini fa venire loro in mente?
• Un modo per inventare una storia tutti insieme è quello di far parlare i bambini uno alla volta e lasciare che siano loro a scegliere, a maggioranza, fra le opzioni che saranno proposte.
Una volta scelta una coppia di termini più o meno distanti ma del registro adeguato, la sfida consisterà nel cercare di adattare i possibili significati e le possibili implicazioni delle due parole, in modo da tenere sempre conto di entrambe.
Facciamo un esempio e consideriamo il caso del binomio “foglia – partenza”.
“Foglia” da sola potrebbe far venire in mente concetti come “verde”, “fotosintesi”, “ombra”, “vento”, “primavera” (quando gli alberi mettono le foglie), “autunno” (quando le perdono) e così via.
“Partenza” da solo evoca “distacco”, “allontanamento”, ma anche “vacanza” o un generico “cambiamento”, una “novità”.
I due termini possono dialogare? Naturalmente ci sono molti modi diversi: si tratta di lasciare che i bambini facciano associazioni.
Per esempio, a me viene subito in mente la storia di una foglia che sta per staccarsi dall’albero. Si prepara dunque alla partenza: fa le valige, saluta le altre foglie, qualche insetto, respira profondamente e via, finalmente parte: dopo tanto lavoro e tanta attesa (e tanta fotosintesi clorofilliana) finalmente in vacanza, una nuova vita. Poi mentre sta dolcemente scivolando verso terra, il vento inizia a farla volare. La storia potrebbe proseguire con i pensieri della foglia, che vede il mondo dall’alto: potrebbe arrivare ovunque…
Laboratorio 2: la tecnologia e i mestieri
Rodari è sempre stato molto attento a proporre ai bambini storie, fiabe, filastrocche che prendono spunto dalla tecnologia, dalle scoperte scientifiche, dai mestieri degli adulti. E se ai suoi tempi si parlava di treno, di tram, di televisore per i primi e di commesso viaggiatore, di operaio, di fornaio o di astronauti per i secondi, oggi saranno i bambini e le bambine a suggerire gli spunti.
Per quanto riguarda la tecnologia, alcuni sono facili da immaginare: lo smartphone, internet, i social, le app, google, i tablet, la play station. I mestieri, invece, potranno essere quello di fattorino di Amazon, risponditore di un call center, influencer di vari social e… astronauta, che è un sempreverde.
Provate a raccogliere, con i bambini, un elenco di tecnologie moderne e di mestieri che conoscono. Poi discutete con loro alcune possibili variazioni:
• quali sono le tecnologie che i bambini conoscono e usano?
• Quali sono i mestieri che i bambini conoscono?
• Insieme, provate a sceglierne qualche tecnologia/mestiere e per ciascuna scelta riflettete sulle sue caratteristiche e a che cosa serve.
• Che cosa succederebbe se una tecnologia iniziasse a funzionare alla rovescia? E se funzionasse alla perfezione?
• E se un mestiere fosse svolto alla rovescia? O con un’attenzione maniacale?
Ecco un paio di esempi che potete variare a piacimento che illustrano i due casi.
Esempio 1. Smartphone è una parola composta da smart, acuto, intelligente e phone, telefono. Insomma: è un cellulare intelligente. È un’occasione meravigliosa per giocare con l’intelligenza vera e presunta.
Insieme ai bambini possiamo inventare una storia in cui un inventore costruisce uno Sciocco-phone o uno tonto-phone, cioè un cellulare che sbaglia sempre numero o che non capisce mai le richieste. Oppure che scaricano le mappe ma poi si confonde e perde la strada) oppure uno scherzo-phone, un cellulare che continua a fare scherzi a ogni chiamata.
Il mio gioco preferito con gli smartphone da proporre ai bambini, per esempio, è partire dal correttore automatico T9, quell’applicazione che cambia le parole come vuole lui, sbagliando quasi sempre. Mentre scrivi un messaggio, ti corregge Plutone con poltrone (“gli astronauti sono partiti per esplorare poltrone”), ragazza con tasca (“sono innamoratissimo della mia tasca”), leone con lettone (“mi sono trovato di fronte un lettone che ruggiva affamato”). Per fare attività con i bambini, lo personalizzo un po’: quel T9 diventa Tinnove ed è il suo cognome. Il nome completo è Gianni Tinnove: è l’opposto del professor Grammaticus di Rodari, quel professore che andava in giro ne Il libro degli errori a cercar di correggere o di osservare gli errori che fanno gli italiani.
Gianni Tinnove fa di peggio: pensa di trovare degli errori anche quando non ci sono. Li corregge e ottiene dei risultati terribili, come per esempio quel giorno che ha fatto inciampare un calciatore che stava per segnare, perché ha scambiato il pallone con un piedone sbucato dal nulla, che ha deviato il tiro in calcio d’angolo.
Esempio 2. Chiedete ai bambini che cosa vorrebbero avere, come in una superlista di regali per Natale. E poi chiedete loro di togliere dalla lista tutto quello che non è davvero necessario fino a quando non rimanete con una sola parola. Supponiamo sia “mamma”.
Immaginate ora che i bambini che si ritrovano di fronte a un supergoogle perfetto, che trova sempre tutto all’istante. Ma non solo lo trova: te lo consegna. Vuoi un gatto? Scrivi “gatto” e un micio si materializza lì vicino a te. Scrivi “amico” ed ecco l’amico perfetto al tuo fianco. Che cosa succede però se scrivi “mamma” e il supergoogle ti regala una playstation? E se la parola “mamma” non fosse stata inserita nella lista che il supergoogle può trovare?