Fragilità: è una parola che ricorre sempre più spesso nelle conversazioni che riguardano i nostri studenti e le loro famiglie. “È un ragazzo fragile”, “Viene da una famiglia fragile”: alzi la mano chi non ha sentito queste frasi nell’ultimo consiglio di classe. È quindi arrivato il momento di fare il punto. Parliamo di fragilità emotiva bambini e bambine.
La fragilità in età evolutiva è una condizione connaturata: proprio perché il bambino si deve evolvere, automaticamente significa che è fragile. Ovvero, a rischio di errore e di insuccesso. Un minore deve necessariamente confrontarsi con l’esperienza della sconfitta, della caduta, del fallimento. Ma è questa la fragilità emotiva? Si pensi a un bambino di 10-12 mesi che deve imparare a camminare. Il suo incedere dal divano del salotto alla sedia della cucina sarà molto incerto. Il suo muoversi ci sembrerà un po’ maldestro e a rischio di caduta. Questo significa che quel bambino è fragile? No, semplicemente vuol dire che ancora non ha strutturato le competenze che gli servono per padroneggiare l’esperienza del “passo veloce e sicuro” in modo autonomo ed efficace. Quelle competenze arriveranno con l’allenamento e la pratica. E grazie al supporto degli adulti di riferimento.
Ora continuate a immaginare lo stesso bambino dopo una caduta: la prima cosa che il piccolo fa in questo frangente è quella di voltarsi verso lo sguardo del genitore. Lui sa solo che con il sedere ha sbattuto per terra ed essendo imbottito di pannolini, quell’interruzione del suo andare non gli ha comportato particolari problemi. Però potrebbe succedere che l’adulto che lo stia osservando, di fronte alla sua caduta, cominci ad andare in ansia.
Sono tantissimi i genitori che, quando un bambino cade, si spaventano e di conseguenza lo spaventano. Perché quando un bimbo si volta verso lo sguardo di chi gli deve dare sicurezza e forza per riprendersi da una caduta e scopre che in quello sguardo c’è ansia, se non addirittura terrore, allora si blocca. E magari piange. Da qui può cominciare a pensare che muoversi nel suo territorio di vita possa essere più pericoloso di quello che realmente è. Di conseguenza, comincia a muoversi meno. Così cade di meno e gli adulti si spaventano di meno. E in questo circolo vizioso allora sì che diventa fragile. Perché non riuscirà ad allenarsi alla vita come sarebbe invece necessario.
Ecco, penso che quando parliamo della fragilità emotiva di chi sta crescendo, dobbiamo stare attenti a non diventare noi adulti i primi induttori della loro incapacità di far fronte agli eventuali ostacoli ed errori in cui si trovano a inciampare. Troppe volte sono proprio gli adulti i fattori iatrogeni, ovvero gli elementi che con le etichette generano poi un’attitudine che porta il bambino a considerarsi e a viversi proprio in relazione all’aggettivo che viene usato per descriverlo, ad esempio “fragile”.
Come bisogna comportarsi quando ci si trova di fronte a un alunno che semplicemente non è stato lasciato libero di sviluppare il proprio potenziale? Prima di tutto non etichettarlo come fragile. In secondo luogo, rimettere lo sguardo sui suoi punti di forza. E tutti i bambini ne hanno. In questo modo lo si rende consapevole delle sue capacità.
Infine mostrare queste potenzialità anche ai suoi genitori. A volte genitori iperpotettivi vedono il figlio come un debole. È necessario quindi illustrare loro le competenze che è in grado di mettere in atto. Bisogna anche spiegare a questi adulti l’importanza di farsi da parte in modo da mettere il bambino nella condizione di essere autonomo. E considerare eventuali sconfitte e scivoloni parte di un normale e sano percorso di crescita.
A volte a scuola ci si confronta con una fragilità dei minori che in realtà è una conseguenza della loro appartenenza a nuclei familiari multiproblematici, in cui si sommano tante forme di disagio, non ultima l’incapacità dei genitori di generare una mente adulta comune per sostenere la crescita dei propri figli, condizione tipica di coppie che attraversano separazioni altamente conflittuali. In questo caso, bambini a cui non manca nulla, dotati di elevato quoziente intellettivo ed emotivo, si trovano progressivamente in condizione di sempre maggiore difficoltà, con un evidente andamento caotico del loro percorso di crescita.
In effetti, se quando sei a un bivio, una persona ti dice di andare a destra e l’altra a sinistra, diventa davvero difficile decidere chi ha ragione. E qual è la direzione che ti guida verso il traguardo. In questi casi bisogna usare la propria autorevolezza, non spaventarsi di fronte a genitori che magari portano i litigi proprio nella sala colloqui della scuola. E con calma mostrare come la fragilità di quei figli sia spesso la conseguenza di qualche pezzo rotto e frantumato al “piano alto” delle relazioni familiari.
Molti docenti pensano che non spetti loro fare questo intervento. Io credo, invece, che proprio perché siamo la figura educativa più importante nella vita di un minore, dopo i genitori naturalmente, questo genere di counselling, se fatto bene, possa permettere di ridurre i problemi e dare un contributo alla rigenerazione, nel minore, di una sana resilienza.
Bambine e bambini possono sembrare fragili, ma non sempre è così. È importante non etichettarli e lasciare che affrontino frustrazioni e fallimenti, senza la costante paura della loro fragilità emotiva. In questo, anche gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale, non solo in classe ma anche nell’individuare eventuali problematiche relazionali.