Come si fa a palare di femminicidio e violenza di genere alle generazioni più giovani? Ci prova la professoressa Maria Antonietta Ferraloro, che parte dalla storia di Stefania Erminia Noce, la cui vita è stata spezzata troppo presto da chi diceva di amarla.
Una delle aule del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania è intitolata ad una giovane donna che si chiama Stefania. Stefania Erminia Noce. La scritta sulla targa dorata che si trova sulla parete d’ingresso dell’aula prova a comprimere, in una data di nascita e di morte sin troppo ravvicinate e in una bellissima citazione tratta da un articolo che lei stessa scrisse, la parabola esistenziale di una vita che si è conclusa troppo in fretta. Ma che è stata vissuta in maniera degna ed intensa.
Raccontare Stefania significa infatti ricordare che è stata una studentessa brillante del vecchio corso di Lettere e Filosofia di quest’Ateneo. Un’attivista militante del Movimento studentesco catanese, per il quale ha organizzato e coordinato una raccolta fondi per i terremotati dell’Abruzzo nel 2009. Una dei fondatori de «La Bussola», il giornale di Licodia Eubea, il piccolo centro vicino a Catania dove era nata nel 1987 e dove viveva.
E significa rileggersi gli articoli che lei ha scritto, recuperare gli interventi che ha fatto in occasione di una delle tante manifestazioni a cui ha partecipato. Riconoscere il valore del suo attivismo ed accogliere l’eredità che ci hanno lasciato le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne. Significa, insomma, definirla per quella che era. Un’intellettuale accorta, profonda, e particolarmente attenta presente.
Purtroppo, questa ragazza piena di vita e di intelligenza, che sulle colonne del suo giornale scriveva «Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato né tantomeno di una religione», avrà per sempre 24 anni. Viene assassinata dal suo ex con dieci coltellate il 27 dicembre 2011. Il suo femminicidio, però, è destinato a fare rumore, ancora più di altri, ma proprio come quello di Giulia Cecchettin.
Anche l'ex di Stefania Noce era un “bravo ragazzo mite ed introverso”. Studiava Psicologia a Roma. Eppure, per "vendicarsi" di essere stato lasciato dalla fidanzata storica, ha ucciso lei e suo nonno e ferito gravemente sua nonna. Stefania, invece, non era una ragazza timida, sottomessa, insicura. Non apparteneva a una fascia sociale debole. Era istruita. È stata uccisa una giovane colta ed autonoma. Fiera di sé e delle battaglie che portava quotidianamente avanti. La sua morte ci dice che tutte le donne - nessuna esclusa - possono cadere nella tela asfissiante di un legame tossico e violento.
D’improvviso, l’Italia è costretta ad una presa di coscienza. È una mattanza silenziosa che va avanti dalla notte dei tempi. Con la complicità di tutti. Siamo semplicemente diventati bravi a fare finta di non vederla.
L’omicidio di Stefania obbliga dunque il nostro Paese a riflettere sulla violenza di genere e sugli stereotipi, i pregiudizi, i vuoti legislativi che l’accompagnano. E sul fatto incontrovertibile che è sbagliato il modo in cui ci ostiniamo a raccontarla.
La vecchia narrazione che sino a quel momento, in qualche modo, ha sempre retto, viene spazzata via. Si comincia a comprendere che, dietro questo tipo specifico di violenza, agiscono un’ignoranza antichissima e ben radicata; l’idea assurda di una presunta superiorità dell’uomo sulla donna, il cosiddetto maschilismo. E, soprattutto, un modello culturale intollerabile, qual è quello del patriarcato.
Eppure, la nostra Costituzione presenta un’enunciazione di parità tra i sessi. I deputati dell’Assemblea Costituente che l’hanno redatta (e ricordiamo che, tra i suoi 556 componenti, vi erano solo 21 donne) hanno messo a punto un capolavoro di giustizia e diritto. E con l’Articolo 3 non si sono limitati a garantire un’uguaglianza di principio tra donne e uomini, ma hanno impegnato il nostro Stato a perseguirla e ad attuarla.
Tuttavia, malgrado gli indubbi progressi fatti nel corso degli anni, rimane ancora molto da fare per colmare il gender gap. Non si spiega altrimenti come sia possibile che, a tutt’oggi, non esista parità retributiva tra i due sessi e che siano così poche le donne che occupano ruoli di leadership. A tal proposito, ricordo i dati impietosi del Global Gender Gap del World Economic Forum (WEF) 2023. Nella classifica annuale che redige per monitorare tale fenomeno, il nostro Paese occupa soltanto la 63ª posizione.
Stefania non si lascia buttare via come fosse acqua sporca o un soldatino di stagno azzoppato, rotto. La sua memoria rimane indocile. Rifiuta di essere addomesticata. I tempi stanno mutando. Il suo assassinio scuote le coscienze. Lo testimoniano le motivazioni che sono alla base della sentenza di condanna con cui viene inchiodato alle proprie responsabilità il pluriomicida che le ha strappato la vita. E che sarà consegnato all’ergastolo.
Per la prima volta nel nostro Paese viene infatti configurato il reato di femminicidio. Un omicidio, cioè, basato sul genere. Nel quale l’atto estremo di violenza è solo il punto d’arrivo di una serie di abusi psicologici, sessuali, economici e fisici perpetrati a danno delle donne.
Per capire la portata di questa sentenza, e l’impatto che è destinata ad avere sulla società italiana, bisogna andare un po' indietro nel tempo 1981 - ebbene sì, anche in questo caso è stato necessario un cammino lunghissimo.
Soltanto in quell’anno, infatti, verranno abrogati gli Articoli 587 e 544 del Codice penale, che contemplavano il “delitto d’onore” e il “matrimonio riparatore”. Due strumenti attraverso i quali la cultura misogina, maschilista e patriarcale si auto-tutelava di fronte alla legge nei casi di abusi e violenza contro l’altro sesso.
La verità è che dietro i femminicidi, i maltrattamenti, la sopraffazione, la via crucis degli stupri, l’imposizione di un divario di genere (che, se colmato, come i ricorda Paola Profeta, ordinaria alla Bocconi, «farebbe guadagnare all’Ue il 12% di Pil entro il 2050»), dietro questa continua prevaricazione di genere, si affacciano, insomma, una povertà ed un disagio culturali immensi.
Solo una società ignorante può permettere, infatti, che uomini e donne siano pensati, percepiti, immaginati come creature in lotta. E che è alla base delle loro relazioni e rapporti non debba invece esservi rispetto reciproco e un patto di mutuo soccorso e di sostegno continui.
Nel tentativo di contrastare questo fenomeno e di sensibilizzare le nuove generazioni, il governo ha approvato un Ddl contro la violenza delle donne. Tra le misure previste, vi sono anche dei corsi di formazione da attivare nelle scuole. Al centro dell’azione didattica, dovrà finalmente esserci l’educazione al rispetto e all’affettività.
Le statistiche confermano che i casi più frequenti di femminicidio riguardino la sfera sentimentale. L’assassino è il partner o un ex che non accetta di essere respinto. Questa consapevolezza dovrebbe darci un minimo margine di manovra nella prevenzione, nel contenimento e nella eradicazione del fenomeno. Se ci inoltriamo nel dedalo delle vite spezzate di queste donne, ci accorgiamo infatti che alcune di loro avrebbero potuto salvarsi.
La violenza fisica, infatti, è solo l’ultima tappa di un lungo percorso di umiliazione, sopraffazione e annientamento. Molti segnali possono metterci in guardia.
Uno di questi può essere la violenza economica. Non è certo un caso se ancora oggi in Italia solo il 58% delle donne ha un conto corrente personale. Un altro ambito è quello relazionale-sociale. Le persone violente fanno terra bruciata attorno alle donne della loro vita. Vogliono l’esclusiva sul loro tempo. Non desiderano che coltivino delle amicizie o che escano senza il loro permesso. Non tollerano che siano autonome.
La spia più importante, però, riguarda come sempre il linguaggio. Gravi segnali d'allarme sono parole denigratorie, offese, l’ordine a stare zitte e mute. La mancanza di rispetto non deve mai essere tollerata.
Abbiamo visto che la politica desidera coinvolgere sempre di più la scuola nella lotta contro le disparità e la violenza di genere. Ma in realtà, già da tempo, nelle classi, noi docenti affrontiamo un tema così grave.
Non tutti i ragazzi amano studiare. Tutti quanti, però, è risaputo, amano le storie. Ci viene facile dunque attingere a quell’immenso repertorio di racconti che la grande letteratura ci mette a disposizione.
Potremmo, ad esempio, avviare un dibattito in classe o strutturare un’UDA prendendo spunto da Dante e dal suo celebre Canto V dell’Inferno. Siamo nel cerchio dei lussuriosi e il sommo poeta incontra i giovani amanti Paolo e Francesca. I due, nella vita, erano cognati e furono assassinati per mano del marito di lei, e fratello di Paolo, Gianciotto Malatesta, il brutale e potente signore di Rimini. I versi di Dante restituiscono tutto l’orrore presente in questo femminicidio.
Non va sottovalutato neppure il repertorio di storie e, dunque, di stimoli didattici, che vengono dalla musica. Se non l’avete ancora fatto, ascoltate Vietato morire, la canzone con cui Ermal Meta ha ottenuto il terzo posto al festival di Sanremo del 2017 ed il premio della critica “Mia Martini”. La genesi del brano affonda le radici nell’infanzia del cantautore, segnata dalla presenza di un padre violento. La canzone però è anche un tributo al ruolo centrale che la scuola assolve nelle nostre vite. A fianco di una madre coraggiosa, che denuncerà il marito; e al “bambino con l’occhio nero”, che è lo stesso cantautore, questa ballata mette al centro anche la splendida figura della maestra Margherita.
Suggerimenti per un percorso didattico su Stefania Noce
Possiamo tuttavia articolare anche un intero percorso didattico attorno alla figura e al lascito di Stefania Noce.
Suggerisco di presentare dapprima alla classe una sorta di album visivo che permetta ai ragazzi di vedere “Stefania” e di seguirla in alcuni momenti importanti della sua esistenza. La prima immagine che io ho fatto vedere ai miei allievi è stata quella della targa che l’Università le ha dedicato. In rete, comunque, è possibile reperire molto materiale documentario.
Nella tappa successiva, invece, si potrebbero recuperare articoli, interviste e filmati dell’epoca. Questo permetterà agli studenti di comprendere perché il suo assassinio imponga al nostro Paese un sostanziale cambio di passo culturale e legislativo.
Al solito, vale la pena strutturare una serie di domande, che potrebbero tuttavia formulare anche gli stessi allievi, adatte a innescare una riflessione su disparità e violenza di genere e sul vuoto culturale che vi è dietro. Trovo, però, egualmente utile, in termini di ricaduta didattica, sollecitare i ragazzi a tradurre nei loro linguaggi Stefania Noce. Affidargli, pertanto, come compito, quello di declinare la sua storia attraverso una striscia di fumetto, un manga, un prodotto multimediale.
#Centosettevolteno
Mentre sto per chiudere l’articolo, uno sguardo veloce agli ultimi dati ufficiali mi aggiorna sulla tragica conta delle vittime italiane di femminicidio. La nuda verità dei numeri è implacabile. Come conferma il Report settimanale sugli omicidi volontari e la violenza di genere che ci fornisce il Viminale, dall’inizio di quest’anno le donne assassinate sono già 107. Di queste, ben 87 sono le vittime in ambito familiare-affettivo.
Per quanto mi sforzi di essere ottimista, non credo che riusciremo ad impedire che questo tragico numero non aumenti ancora entro la fine dell’anno. Eppure, sono convinta che qualcosa stia cambiando.
Mi rincuora molto presenza massiccia degli uomini nelle manifestazioni che sono seguite al recente femminicidio di Giulia Cecchettin. Il fatto che si siano uniti alle loro compagne, amiche e figlie per ribadire che le donne non dovrebbero più sentirsi sotto lo scacco di una minaccia costante. E che debbano essere libere di essere libere.
Mi dà speranza il discorso conclusivo che Gino Cecchettin, sebbene devastato dal dolore, ha voluto pronunciare durante le esequie della figlia. Ci ha chiesto infatti di «trasformare la tragedia [di Giulia] in cambiamento», di modo fare in modo che la sua morte divenga una spinta «per fermare la violenza sulle donne». E ha voluto sottolineare che «La responsabilità educativa ci coinvolge tutti: famiglie, informazione, scuola, società civile».
Sì, qualcosa di nuovo si affaccia sul fondale melmoso di una cattiva coscienza collettiva patriarcale. D’altra parte, la posta in gioco è molto alta. Il futuro che ci aspetta ci impone sfide enormi. Dal clima ai sempre più fragili equilibri geopolitici mondiali sino all’impatto dell’AI sulle nostre vite, si preannunciano scenari impensabili sino a un decennio addietro. In un contesto del genere, segnato da profondissime faglie di crisi e da mutamenti repentini, la parità di diritti tra uomo- donna diventa non solo necessaria ma anche urgente.
Piccola bibliografia di riferimento
Articoli
Libri
Sulla figura della giovane attivista, il testo di riferimento è: S. Maiorana, Quello che resta. Storia di Stefania Noce. Il femminicidio e i diritti delle donne nell’Italia di oggi, Villaggio Maori, Catania, n.e. 2017.
Si ricorda, che in memoria di Stefania Noce è nata, a Licodia Eubea, l’Associazione SEN– il nome è l’acronimo con cui la giovane firmava i suoi articoli. L’Associazione cura anche, tra l’altro, il Premio SEN, destinato a personalità femminili che, nel corso dell’anno, si siano distinte per il loro impegno a favore dei diritti delle donne.
NB
Le donne vittime di stalking o di violenza possono chiamare il 1522.
Esistono molti Centri Antiviolenza che operano sul territorio italiano, è possibile contattarli anche solo per ricevere suggerimenti e o conforto e mantenendo il più assoluto anonimato.