In questi giorni, il mondo intero è scosso dalla furia di eventi estremamente violenti. I bambini vengono a contatto con notizie di cronaca dal suono duro e dal sapore amaro.
Ora più che mai l’adulto deve saper ascoltare le domande dei bambini e dei ragazzi, spiega Matteo Lancini, psicologo esperto dell’età evolutiva. I bambini devono sentire che gli adulti sono disposti a parlarne, ma è necessario calibrare la comunicazione partendo dalle loro domande e, come sottolinea l’ex presidente del Consiglio nazionale degli psicologi Fulvio Giardina, usando la lente dei principi educativi che si vogliono trasmettere.
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Sappiamo a questo proposito, che la narrativa per ragazzi diventa educativo-formativa quando soddisfa bisogni umani profondi, in prima istanza il bisogno di conoscere il mondo e la vita (S.Blezza Picherle, Letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, Qui Edit, Verona, 2019).
Lavoro da molto tempo con i bambini cercando di costruire per essi e con essi percorsi di lettura che possano contribuire a soddisfare i bisogni di cui sopra. Non posso esimermi oggi dal considerare fondamentale l’approccio alle richieste dei bambini, in merito a quanto sta accadendo nel mondo, attraverso la lettura di testi adeguati e, al contempo, delicati per contenuto, linguaggio e immagini.
Ho cercato perciò di individuare alcuni testi, adatti alla fascia d’età della scuola primaria, in cui sia presente il tentativo di soddisfare i bisogni di conoscenza del mondo e della vita attraverso una via «estetica» e non «logica», cioè attraverso la percezione, le sensazioni, l’identificazione (S. Blezza Picherle, Libri, bambini, ragazzi. Incontro tra educazione e letteratura, Vita e Pensiero, Milano, 2004).
La lettura di questi testi, che sia individuale o veicolata dall’adulto, può fornire al giovane lettore nuove possibilità percettive, attraverso cui guardare la triste realtà che si sta presentando ai suoi occhi.
La casa sul lago (Thomas Harding)
Un libro che invita fin da subito a salire a bordo per un viaggio nel tempo e nella storia è La casa sul lago di Thomas Harding, illustrato da Britta Teckentrup e tradotto in italiano da Carla Ghisalberti per Orecchio Acerbo (2020). Al suo interno vi è il racconto dello scorrere del tempo attraverso un elemento immobile che accoglie il passaggio di vite umane e osserva gli eventi storici, subendo il logorio del tempo e quello derivante dalla brutalità umana. Si tratta di una casa, la casa costruita dal bisnonno dell’autore, il dottor Alfred Alexander, sulle rive del lago di Groß Glienicker in Germania. Attraverso di essa passano vite umane, destini, speranze, paure. Uno spazio che si riempie e si svuota più e più volte volte, ma che rimane a testimoniare il desiderio di ricominciare sempre e comunque.
La casa del tempo (Roberto Innocenti)
L’albo di Harding richiama certamente alla memoria la Casa del tempo di Roberto Innocenti, con le parole di Roberto Piumini (La Margherita edizioni, 2010). In questo albo, la cui storia è ambientata in Italia, vediamo attraverso le splendide illustrazioni di Innocenti la lenta trasformazione di una casa contadina dall’inizio alla fine del Novecento. Un edificio che rimane immobile ad osservare i cambiamenti delle persone, del loro abbigliamento e delle loro abitudini e a seguire il passaggio della guerra, della pace e della rinascita.
L’inizio (Paula Carballeira)
Molto interessante può risultare il dialogo tra questi due albi illustrati e L’inizio di Paula Carballeira, illustrato da Sonja Danowski, edito da Kalandraka Italia nel 2012. Anche qui si racconta la storia di una famiglia, una soltanto stavolta e in un preciso momento, quello della fine di una guerra. L’elemento chiave di questo racconto è tuttavia l’assenza e, in contrasto con gli albi proposti in precedenza, l’assenza di una casa. Fin dalle prime pagine si è catapultati in una condizione di privazione, di mancanza. La nuova casa di questa famiglia diventa un’automobile; essa accoglie ciò che resta della quotidianità a guerra finita.
«Una volta ci fu una guerra». Inizia così il racconto e l’ambientazione è desolante, ha i colori del grigio e del marrone e si presenta priva di vita. Ma ecco, immediato e carico di forza, l’intervento della madre: «Non importa – disse mia madre – abbiamo una macchina». È improvvisa e spiazzante questa frase intrisa di speranza. Il tempo e lo spazio sono indefiniti e il racconto assume un carattere di universalità. La storia non narra la guerra, ma ciò che accadde subito dopo: l’assenza di dimora, di vestiti, di igiene, l’assenza di luce, la presenza della fame. E in tutto ciò, la scoperta di una forza interiore, di resistenza, di adattamento. La riscoperta naturale del gioco e del tempo per sorridere. Ecco l’inizio, il nuovo inizio.
Flon Flon e Musetta (Elzbieta)
In Flon Flon e Musetta, il classico di Elzbieta (AER edizioni, Bolzano, 2004), racconto che può essere proposto fin dalla scuola dell’infanzia, torna la presenza di una casa, la casa del piccolo Flon Flon che dista poco dalla casa della sua amica Musetta. Le separa un ruscello; i due giocano ora da un lato, ora dall’altro. Ma proprio il ruscello finisce per diventare un limite: al suo posto infatti un giorno Flon Flon vede una siepe di spine. Un elemento di separazione, netta. Oltre la siepe, Flon Flon vede Musetta. La guerra arriva e Flon Flon la percepisce come un essere vivente: «Dov’è la guerra?» chiede Flon Flon alla mamma «vorrei dirle di andarsene!». Ma «la guerra era troppo grande. Non ascoltava nessuno. La si sentiva andare e venire».
Flon Flon si arrabbia con il papà perché non ha saputo uccidere la guerra, che è ancora lì, presente, sotto forma di una siepe di spine. Ed è allora che si svela la grandezza di questo racconto, che con parole chiare e delicate, riesce a dire l’unica verità: «La guerra non muore mai, mio piccolo Flon Flon. Si addormenta solamente di tanto in tanto. E quando dorme, bisogna fare molta attenzione a non svegliarla». Con queste parole si può senz'altro introdurre ai bambini più piccoli il concetto di cura: è come se i grandi non comprendessero quanto sia precaria la stabilità della pace, non ne hanno cura; con il loro rumore, svegliano la guerra.
Immagina la guerra (Pimm Van Hest)
Muovendo invece dal concetto di immaginazione, proporrei la lettura di altri due albi illustrati. Il primo è Immagina la guerra di Pimm Van Hest (edizioni Clavis, 2017). Il titolo è un invito forte e deciso all’immaginazione del lettore. I testi di Van Hest e le immagini simboliche di Aron Dijkstra, descrivono con efficacia i sentimenti e le paure di un bambino la cui esistenza viene sconvolta dalla guerra. Un bambino a cui vengono a mancare cose semplici e al contempo essenziali, come entrare in classe, giocare con gli amici nel cortile e per le strade, saltare la corda, calciare un pallone. Si chiede al lettore di immaginare cosa si può provare quando tutto ti viene tolto, quando ogni certezza viene sradicata.
Scrivila la Guerra (Luigi Dal Cin)
Un interessante parallelismo con questo albo, può essere proposto attraverso la lettura di Scrivila la Guerra di Luigi Dal Cin, illustrazioni di Simona Mulazzani (edizioni Kite, 2016). L’albo è stato pubblicato in occasione del centenario della grande guerra su iniziativa della fondazione Stepan Zavrel di Sarmede. Il racconto è tratto dalle memorie di Giuseppe Boschet, custodite e pubblicate dalla biblioteca di Seren del Grappa (TV). L’allora piccolo Giuseppe, scrisse la sua esperienza di guerra su un taccuino, spronato dal padre tornato dal fronte: «Ogni giorno la guerra gli entrava dagli occhi, dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, dalla pelle. Per tirarla fuori allora doveva scriverla».
Anche il padre conserva un quaderno su cui ha scritto la sua guerra, ma non lo fa leggere al figlio, perché «quelle pagine sono piene di buio, di morte e di dolore».
Troviamo da un lato il tentativo di immaginazione da parte di chi non ha mai vissuto (fortunatamente) la guerra, dall’altro la scrittura di esperienze reali da parte di chi l’ha vissuta, al fine di liberare, per quanto possibile, la mente dal dolore.
La piccola grande guerra (Sebastiano Ruiz Mignone)
È ancora una volta il concetto di immaginazione a suggerirmi la rilettura de La piccola grande guerra di Sebastiano Ruiz Mignone, con illustrazioni di David Pintor (edizioni Lapis, 2015). Anche qui l’autore si rivolge fin da subito al lettore: «Ricordi? Tu, sei quel bambino». È un invito a mettersi nei panni del protagonista del racconto, in un tempo e in uno spazio ancora una volta indefiniti. C’è l’amore fortissimo per il papà e l’assurdità di una guerra che sembra uno sciocco gioco dei grandi. Pagina dopo pagina il dialogo tra padre e bambino, fa fiorire il desiderio di pace, una pace duratura a cui si può giungere facendo le scelte giuste.Troviamo qui la guerra vista dagli occhi di chi la combatte in prima persona, il soldato.
Il nemico (Davide Calì)
L’elemento fisico è preponderante come ne Il nemico di Davide Calì, illustrazioni di Serge Bloch (Terre di mezzo editore, 2013). Il protagonista, un soldato semplice, nella solitudine della sua trincea, immagina come può essere il suo nemico. Sarà così diverso e così bestiale come riporta il manuale che gli è stato fornito? Determinante il ruolo dell’esperienza diretta, l’unica che porta a conoscere un nemico che c’è, ma non si vede. La desolazione, la fame, il freddo e soprattutto il buio della notte, diventano occasioni di riflessione profonda, risvegliando il senso critico del soldato e innumerevoli domande sul suo nemico: «Anche lui guarda le stelle? Forse se le guardasse capirebbe che questa guerra ormai è inutile e che dobbiamo smettere».
Anche in questo albo il tempo e lo spazio sono indefiniti. Lo spazio bianco della pagina invita a fissare l’attenzione semplicemente sul fattore umano, minuscolo al cospetto di un cielo stellato su sfondo scuro, ma l’unico che conti realmente in qualsiasi guerra.
Il soldatino (Cristina Bellemo)
L’uomo è infinitamente piccolo e indifeso talvolta anche dinanzi al proprio mondo interiore, ai propri fantasmi e, ovviamente, alle ideologie. Lo si percepisce chiaramente ne Il soldatino di Cristina Bellemo, illustrato da Veronica Ruffato (Edizioni Zoolibri 2020). Troviamo qui un giovane soldato in stato di allerta costante: «Pensava un pensiero solo, grande come tutta la sua testa: la guerra». Una guerra non necessariamente esteriore, come si evince dalle meravigliose illustrazioni di Veronica Ruffato, aspetto che merita certamente un’analisi più articolata. Mi limito qui a citare la dedica riportata all’interno del sito della casa editrice Zoolibri: «Dedicato a tutti quei soldatini del quotidiano che non si accontentano di marciare a testa bassa, ma che guardano la vita cercandoci la pace, non la guerra».
Se spazio e tempo anche qui sono indefiniti, troviamo tra le righe del racconto lo stesso elemento fisico da cui questa analisi ha preso l’avvio: la casa. Simbolo di vita e di pace. Nel mezzo delle sue occupazioni e preoccupazioni da soldato, il giovane giunge ad una casa. Il camino fuma. Dentro c’è vita. Per la prima volta, non sfonda una porta, ma bussa. E il gesto del bussare apre molte porte, interiori soprattutto, fatte di sorpresa, disvelamento. Un netto punto di svolta, lo stesso che, chi vive o combatte una guerra non voluta, attende giorno dopo giorno.
La fioraia di Sarajevo (Mario Boccia)
Spazio e tempo sono invece chiaramente distinguibili ne La fioraia di Sarajevo, di Mario Boccia, illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini (Orecchio Acerbo editore, 2021). Ancora una volta domina l'elemento umano. Sarajevo, febbraio 1992. Mario Boccia, fotoreporter, conosce nel mercato cittadino una donna, una fioraia. Nei mesi successivi, la città vivrà un assedio feroce, che durerà quattro lunghi anni. La fioraia non abbandona il suo posto al mercato, vi resta con i suoi fiori apparentemente superflui. Un giorno lui le chiede quale sia la sua etnia, e lei risponde: «Sono nata a Sarajevo». Il fotografo le chiede allora quale sia il suo nome e lei scrive su un foglietto: “Fioraia”. Come a dire che il nome non conta nulla per lei, tanto quanto l’etnia di appartenenza.
Racconta Mario Boccia di essere stato invitato in una scuola elementare per parlare della guerra in Bosnia-Erzegovina. I bambini a cui si rivolse «erano lo specchio del mondo» tante e diverse erano le etnie e le provenienze. Mentre raccontava di come, dopo la guerra, le scuole fossero state divise secondo le etnie e le religioni, due bambini hanno messo l’uno il braccio sulla spalla dell’altro. «Avevano la pelle di colore diverso, ma il gesto era identico».
In loro Mario Boccia scrive di aver riconosciuto l’essenza stessa del concetto di comunità, al di sopra di qualsiasi ideologia o pensiero dominante.
La storia del toro Ferdinando (Munro Leaf)
Concludo questa mia serie di proposte citando un grande classico: La storia del toro Ferdinando di Munro Leaf, illustrato da Robert Lawsonnel, pubblicato per la prima volta nel 1936, pochi mesi prima dell’inizio della guerra civile spagnola, riedito da Fabbri editori nel 2017. In questo racconto non c’è una guerra. Non ci sono scontri tra eserciti, non ci sono soldati, né generali. È la storia di un toro che preferisce il profumo di un fiore all’insensata violenza della corrida. Il toro ferdinando non prende a testate gli altri tori, come fanno i suoi simili. «A lui piaceva stare seduto tranquillo ad annusare il profumo dei fiori». Gli stessi fiori che, in modo innocente e al contempo beffardo, si siede ad annusare nel bel mezzo dell’arena nella quale è stato a forza trascinato. «Non voleva proprio combattere ed essere feroce, non voleva e basta».
Un racconto che appassiona e che diverte, capace di generare domande e risposte perché offre anche ai più piccoli la possibilità di riflettere sull’inutilità dei conflitti.
Arrivati sin qui, il percorso rimane ovviamente aperto; la proposta è di continuare la ricerca di titoli e generi che siano per i bambini e i ragazzi da stimolo al desiderio di parlare e di confrontarsi.
Ciò che mi preme sottolineare è che oggi più che mai, ogni scelta letteraria, ogni proposta, necessita di essere valutata con attenzione perché, come ricorda Aidan Chambers «qualsiasi lettura produce in chi legge un qualche tipo di risposta» (A. Chambers, Il lettore infinito, 2011).
Nicoletta Asnicar vive in provincia di Vicenza, ai piedi delle Prealpi. L’interesse per la storia e l’amore per i racconti la accompagnano fin da bambina, grazie al nonno, instancabile lettore e narratore fedele, nonché al patrimonio storico dei luoghi in cui è cresciuta. Si laurea in storia con una tesi antropologica sul valore del racconto nelle comunità rurali e alpine. Si specializza in Letteratura per l’infanzia e nel 2009 fonda Keidos Fucina Narrativa, associazione per la promozione della letteratura per ragazzi. Insegnante di Italiano, si occupa di didattica e narrativa per l’infanzia collaborando con vari enti e istituzioni. È autrice di testi per l’infanzia e scrive anche per Focus Pico.