“Lui è Bailey. È il nostro cane. Gira in tutta la scuola perché abbiamo deciso di mettere in atto la therapy dog”.
A far le coccole al cucciolo è Mr Getz, il dirigente della East Side Middle School sulla 91St, una scuola pubblica di Manhattan, New York.
Questo spilungone dall’aria simpatica, amante del jazz, scrittore (ha pubblicato in Italia Appuntamento in Central Park), conosce il nome e le storie di ciascuno dei suoi 450 alunni. Lo capisci girando l’istituto con lui. Quando entra in una classe nessuno si alza in piedi, nessuno si rivolge a lui con reverenza eppure tra i corridoi viene fermato dai ragazzi. A ciascuno di loro dedica qualche minuto. “Tutti noi lo ammiriamo. Ogni settimana - spiega Clara, dodici anni e mezzo, nata in Spagna da mamma italiana e papà argentino ma cresciuta a New York - ci invia persino, il venerdì, una mail con i suoi racconti”.
La prima caratteristica di questa scuola è il The principal. La porta del suo ufficio è aperta a tutti. Quando Clara ci raggiunge per farmi da traduttrice, dimostra rispetto per il suo preside ma nessuna soggezione.
Da fuori la East Side Middle School, sembra una di quegli anonimi edifici moderni americani con infissi azzurri e mattoni rossi. Dentro è un’altra storia. L’ingresso è il suo biglietto da visita. La pulizia sembra essere una priorità, anzi una necessità, non solo dei docenti ma di tutti. Lo capisco guardando i banchi, le sedie: non c’è un solo chewing gum appiccicato ai tavoli, non una scritta. Quando chiedo a Mr Getz di vedere i bagni si stupisce ma acconsente: scopro che anche lì non c’è alcun segno di abbandono, è tutto ordinato, c’è il sapone liquido, c’è la carta igienica, persino gli specchi lindi.
Altro tratto fondamentale: all’ingresso i colori variopinti delle piastrelle che ritmano ogni spazio della scuola danno un senso di bellezza. L’istituto ha persino un suo simbolo: la tigre. È la bellezza a regnare a scuola. Un particolare non di poco conto. Chi sta in un luogo ben arredato, colorato, comodo, efficiente non ha alcun desiderio di distruggerlo, di rovinarlo.
Mi insospettisce il silenzio. A dire il vero mi sembra anomalo in una scuola ma quando scopro che ogni docente fa lezione con un microfono ad archetto senza privarsi della voce, tutto mi è più chiaro. “I professori - ci conferma un’insegnante - qui stanno bene. La scuola è accogliente sia per loro che per i docenti”.
Il modello di questo istituto è distante dai nostri anche per un’altra ragione: qui l’informatica è entrata a far parte delle lezioni non è un laboratorio a parte, non è un’eccezione. La didattica è digitale ed è naturale che sia così. In classe, ogni studente lavora con un pc sul banco. Siamo di fronte ad una quotidianità che per noi, in Italia, potrebbe essere una rivoluzione.
A stupirmi è anche un altro aspetto: nelle classi e in giro per la scuola incontro disabili ma nessun caso di autismo, nessun altro caso grave. È il preside a chiarirmi il tutto: “Ai casi che possiamo accogliere qui affidiamo due insegnanti di sostegno ma le persone più in difficoltà sono in una scuola apposita per loro”. Per l’Italia, il solo accennare a queste ipotesi, susciterebbe polemiche a non finire ma forse, osservando quanto a accade a New York, dovremmo iniziare a porci qualche domanda.
Prima di salutarmi Mr Getz mi mostra un tappeto: un lavoro fatto dalle mamme e dai bambini di una scuola di Nairobi. “Con loro - dice il dirigente - abbiamo in corso un gemellaggio. Ogni settimana i ragazzi si incontrano online con i loro coetanei”.
Mentre stringo la mano a David Getz mi scappa l’occhio: alle sue spalle c’è un manifesto che parla di LGBTQ. Esco dalla scuola pensando: e se fosse appeso in una scuola media italiana?