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Dislessia e DSA a scuola, una sfida da vincere

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Dislessia e DSA a scuola, una sfida da vincere
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I disturbi specifici dell’apprendimento possono rendere difficile e frustrante la vita scolastica. Oggi, però, la scuola può fare molto per aiutare bambini e ragazzi con DSA

Martina (il nome è di fantasia) è una bambina che frequenta la terza classe della scuola primaria. Il compito di italiano del giorno prevede la lettura di un brano e la risposta ad alcune domande di comprensione. Martina si guarda intorno: i compagni di classe non sembrano particolarmente stressati e procedono spediti nella lettura. In capo a pochi minuti sono giunti in fondo alla pagina e si apprestano a rispondere alle domande. Lei, però, ha superato a fatica le prime righe di testo: riconoscere le lettere, riunirle in sillabe, comprendere di che parola facciano parte è una vera impresa. Nello sforzo della decifrazione, il senso della storia sembra perdersi: di che cosa si sta parlando? Martina è stanchissima e non riesce proprio a ricordarlo. I compagni, nel frattempo, stanno per concludere il proprio compito. Lei è quella “lenta”, come al solito, quella che si troverà con più lavoro da fare a casa perché “non ce la fa”, “non è portata”.

La storia di Martina è simile a quella di molti bambini che hanno un disturbo specifico dell’apprendimento (un DSA, detto con un acronimo). Per questi bambini leggere, svolgere i calcoli, disporre avvenimenti storici su una linea del tempo o orientarsi in uno spazio fisico o simbolico possono essere difficoltà insormontabili. La fatica sperimentata ha come inevitabile conseguenza il fatto di sentirsi sbagliati, lenti, incapaci, non abbastanza bravi per proseguire gli studi.

La decisione di smettere di studiare o lo scarso successo formativo – purtroppo fenomeni ancora diffusi nel caso di soggetti con DSA – sono una sconfitta del sistema scolastico che non è possibile accettare, perché la vera sfida della scuola è quella di essere un ambiente inclusivo, in cui i talenti di tutti i bambini e i ragazzi possano trovare il modo di esprimersi al meglio. Eppure i DSA non sono certo incompatibili con il successo scolastico e con una vita lavorativa ricca di soddisfazioni. Non sempre, però, la scuola riesce a essere concretamente d’aiuto a bambini e ragazzi con un disturbo specifico dell’apprendimento.

Che cosa è possibile fare? Da che cosa è bene partire per diventare un valido sostegno e non dei giudici demotivanti per gli studenti? Senz’altro un primo passo per affrontare i DSA è conoscerli meglio.

Che cosa sono i DSA

DSA – Disturbi Specifici dell’Apprendimento – è, come dicevamo, l’acronimo con cui si indicano, in italiano, delle difficoltà che gli inglesi fanno rientrare sotto il cappello delle learning disabilities. Si tratta di problemi molto specifici, che non sono legati a deficit cognitivi (uno dei criteri diagnostici è proprio il fatto che il bambino abbia un quoziente intellettivo almeno pari alla media) e che riguardano un preciso dominio di abilità, come leggere, scrivere, eseguire calcoli.

L’origine di questi disturbi è neurobiologica: sono, dovuti, infatti, alla particolare struttura di alcune aree del cervello. I disturbi dell’apprendimento sono una testimonianza della meravigliosa complessità del nostro cervello, le cui caratteristiche e abilità sono diverse da individuo a individuo. I DSA e le varie manifestazioni della neurodiversità ci ricordano l’importanza di un ambiente scolastico in cui tutti possano esprimere al meglio le proprie potenzialità. In effetti, è quasi esclusivamente nell’ambiente scolastico che i DSA si manifestano: come dicono gli esperti, questi disturbi non hanno identità sociale al di fuori della scuola. Le persone che ne sono portatrici non mostrerebbero particolari difficoltà in contesti sociali o epoche non basati sull’istruzione scolastica, che ha, invece, un ruolo di primo piano nella nostra società.

Il DSA più conosciuto dal grande pubblico è la dislessia, cioè la difficoltà nel decodificare e leggere un testo. Accanto alla dislessia, possiamo ricordare la disgrafia (difficoltà di scrittura), la discalculia (difficoltà nell’esecuzione di calcoli, nel contare, nel mettere in colonna e in successione i numeri) e la disortografia (grandi difficoltà nel seguire le norme ortografiche).

Il DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, compilato dall’American Psychiatric Association e usato in tutto il mondo, nella sua ultima edizione, la quinta, preferisce non sottolineare eccessivamente i confini tra i diversi disturbi dell’apprendimento, che affronta nel loro complesso, al contrario delle edizioni precedenti. Questa scelta deriva probabilmente dal fatto che nei DSA si può osservare un alto tasso di “comorbilità”: i disturbi tendono, infatti, a ricorrere insieme. Non è raro, infatti, che un bambino che mostra difficoltà di lettura ne presenti anche nella scrittura, nel calcolo e così via.

Non demotivare mai

«In questo caso sarà molto importante che chi fa la diagnosi riesca a distinguere tra una comorbilità reale, effettiva, e una solo apparente, che deriva dalla fatica e dalla demotivazione, che sono un rischio sempre presente quando ci si trova di fronte a un disturbo dell’apprendimento», sottolinea Carla Tinti, esperta di DSA, docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e presidente di LUDIS, spin-off accademico che ha proprio lo scopo di fare ricerca e avviare progetti che riguardino le difficoltà di apprendimento.

«Per fare un esempio semplice, un bambino dislessico può talvolta non riuscire a risolvere dei problemi di matematica, ma è bene capire se questo sia conseguenza della discalculia oppure di difficoltà sempre legate alla lettura, che rendono faticosa la comprensione del testo del problema e, di conseguenza, la sua risoluzione», continua l’esperta.

Uno dei problemi più seri collegati ai disturbi dell’apprendimento è proprio il senso di demotivazione che può derivarne, che si traduce, purtroppo ancora spesso, nella rinuncia a proseguire gli studi, nella sensazione che il diploma o la laurea siano al di fuori della propria portata. «Il confronto inevitabile che si viene a creare nell’ambiente scolastico, quando un DSA non è riconosciuto, può essere mortificante per il bambino o il ragazzo. Vedere che i compagni attorno a lui riescono a portare a termine un compito, che a lui costa grande fatica, con relativa facilità può indurlo a pensare di “valere meno” degli altri», rimarca Carla Tinti. Il problema è reale e, purtroppo, ancora molto diffuso. Ma la buona notizia è che le strategie per bypassare una difficoltà dell’apprendimento esistono e mostrano, se applicate bene, grande efficacia.

Come si diagnistica un DSA?

Il primo passo per affrontare un disturbo dell’apprendimento è, naturalmente, riconoscerlo e diagnosticarlo. Gli studi di epidemiologia ci dicono che i DSA riguardano circa il 4% della popolazione. Questo vuol dire che non è affatto insolito che in una classe di 25-30 alunni ce ne sia uno (o più di uno) che mostra una difficoltà di questo tipo. Basta questa semplice considerazione aritmetica per rendersi conto di quanto sia importante che gli insegnanti siano preparati a cogliere i sintomi di un disturbo dell’apprendimento, meritevole di una particolare attenzione.

«In passato la consapevolezza nei riguardi dei DSA era meno diffusa», ricorda Carla Tinti. «La situazione è molto migliorata con la consensus conference del 2007, che ha dettato le linee guida adoperate a livello nazionale, e poi con la legge 170/2010, che ha proprio lo scopo di tutelare i diritti degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento». Tutto ciò che si chiede alle scuole è proprio di mettere in pratica le norme esistenti.

Continua Carla Tinti: «Se la diagnosi vera e propria di un disturbo dell’apprendimento spetta agli specialisti, il ruolo degli insegnanti a scuola si rivela centrale. A loro spetta il compito delicatissimo di osservare bambini e ragazzi nel corso delle attività didattiche, pronti a coglierne difficoltà che possano suonare come campanelli d’allarme».

Tra queste, uno sfasamento dei tempi in cui determinate abilità – come la lettura spedita o il calcolo di addizioni in colonna – possono essere ritenute acquisite. Un ritardo che persiste al di là di tutti i tentativi di porvi rimedio con attività di potenziamento merita senz’altro un approfondimento. Inversione di lettere e sillabe, confusione tra caratteri simili o speculari (come “b” e “d”), difficoltà nel seguire un rigo, nella gestione dello spazio del foglio, nella disposizione di eventi nella successione cronologica o nell’incolonnamento di numeri per eseguire piccoli calcoli sono alcuni tra i più frequenti sintomi di un disturbo dell’apprendimento. In questa fase, pur lasciando agli specialisti i test diagnostici veri e propri, un insegnante può aiutarsi con semplici strumenti, messi a punto dai ricercatori, oggi disponibili anche online, che possono orientare verso la necessità di un approfondimento.

Ogni bambino è un microcosmo

«Quello che è importante capire è che non esiste un soggetto con DSA uguale all’altro», tiene a precisare Carla Tinti. «È per questo che è importante esaminare con grande attenzione ogni singolo caso e usare, per la diagnosi, strumenti differenziati che ci permettano di individuarne il profilo funzionale», aggiunge l’esperta. L’obiettivo è quello di “narrare” il bambino in tutti i suoi aspetti, avere il quadro delle sue difficoltà ma anche dei punti di forza su cui lavorare e costruire, consapevoli del fatto che ogni persona nasconde in sé un mondo da scoprire.

Per ovviare ai punti di debolezza si potranno usare le misure compensative e dispensative previste dalla legge. Per esempio, si potrà prevedere l’uso di strumenti di supporto come il registratore, la calcolatrice, la smart-pen (una “penna intelligente” che può aiutare a prendere appunti attraverso l’uso di software) o le app che consentono di leggere i testi a schermo o di scrivere testi sotto dettatura. Anche ausili non tecnologici come le mappe concettuali, i glossari, gli schemi o le mascherine per orientarsi in un testo scritto potranno essere utilissimi. In alcuni casi si potrà concedere del tempo aggiuntivo per sostenere una prova, oppure scegliere di valutare le prove orali più che gli scritti.

Idee sbagliate sui DSA

Un timore infondato è quello che didattica inclusiva significhi “didattica semplificata” e che andare incontro ai ragazzi con DSA significhi approfondire di meno.

«Si tratta di timori senza senso», afferma Carla Tinti. «Essere inclusivi non vuol dire perdere in profondità, ma rendere le conoscenze accessibili a tutti e permettere a tutti di approfondirle, facendo leva sulle diverse capacità di ciascuno». Il terreno comune su cui lavorare è quello della motivazione a conoscere, a capire, a sentirsi competenti; il “come” dipende dalle caratteristiche uniche e irripetibili di ciascun bambino. «Essere inclusivi vuol dire anche stimolare i bambini a conoscere se stessi e il proprio modo di imparare, sperimentando le strategie che funzionano meglio per loro», aggiunge l’esperta.

Un’altra idea diffusa è che si stia esagerando con le diagnosi di DSA, che sembrano sempre più frequenti. Questa considerazione si accompagna spesso al timore dei genitori che l’ “etichetta diagnostica” sia più un limite che un aiuto e che possa segnare in negativo la vita dei figli. «Si tratta di timori comprensibili, ma che non sembrano avere fondamento. L’incidenza epidemiologica dei DSA, come dimostrano i numeri, non è in aumento e non abbiamo elementi per parlare di troppe diagnosi», aggiunge Tinti. Inoltre, come dicevamo, lo scopo della diagnosi non è certamente quello di “etichettare” un bambino o un ragazzo. «L’approfondimento diagnostico serve, al contrario, a conoscerlo meglio per aiutarlo a superare le sue specifiche difficoltà e a sviluppare le abilità metacognitive, cioè quelle che insegnano a imparare», conclude l’esperta.

Come affrontare un sospetto DSA: dieci consigli operativi per l’insegnante

Che cosa è possibile fare quando si ha il sospetto che uno studente abbia un DSA? Abbiamo stilato un piccolo vademecum con l’aiuto di Adele Veste, formatrice specializzata sui DSA:

  • Osservare il bambino in classe. In questa fase è importante escludere che le difficoltà scolastiche provengano da problemi fisici (sensoriali, neurologici etc.) o da disagio psicologico o sociale.
  • Prendere nota delle difficoltà osservate e della loro tipologia. Questi dati saranno importanti per gli specialisti.
  • Confrontarsi con i colleghi, per verificare le proprie osservazioni, e con il dirigente scolastico.
  • Progettare attività di potenziamento e continuare a osservare sistematicamente gli eventuali progressi. «In questa fase è molto utile l’uso di più linguaggi (immagini, musica, strumenti informatici…) per superare le difficoltà», ricorda Adele Veste.
  • Decidere insieme al dirigente scolastico e agli altri docenti come informare i genitori di un eventuale problema persistente.
  • Parlare ai genitori, cercando di mettersi in ascolto e confrontando le proprie osservazioni con le loro. Rispondere alle domande per le quali si ha competenza e rimandare agli esperti per il resto.
  • Redigere una relazione delle osservazioni fatte in classe per gli specialisti. Ricorda Adele Veste: «Per la diagnosi, è importante informarsi sulla normativa in vigore nella propria regione, per esempio recandosi presso la ASL di appartenenza. Le sedi locali delle associazioni che tutelano le persone con DSA possono essere un buon punto di riferimento per sapere a chi rivolgersi».
  • In seguito all’eventuale diagnosi di DSA, predisporre il Piano Didattico Personalizzato insieme agli altri docenti. «Una lettura accurata della diagnosi è il primo punto di partenza, perché le strategie da attuare devono essere basate sui punti di forza, diversi per ciascuno studente», sottolinea Adele Veste.
  • Coinvolgere il gruppo classe e spiegare ai compagni che l’alunno con DSA non ha un trattamento di favore, perché ciascun alunno è unico e anche la scuola deve valorizzare le differenze, che ci arricchiscono.
  • Confrontarsi periodicamente con la famiglia, condividere il percorso dello studente e ascoltare i genitori anche relativamente al benessere psicologico del bambino.