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Diga del Vajont, come raccontare questa storia in classe – Lezione di educazione civica

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Diga del Vajont, come raccontare questa storia in classe – Lezione di educazione civica
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Avete mai sentito parlare di Longarone? E della diga del Vajont?

Prendete una mappa del Veneto (oppure andare su Google Maps con la lim). Puntate il dito sulla città di Belluno. Cercate il fiume Piave. Vedrete che, in quella zona, il corso del fiume segue abbastanza fedelmente il confine con il Friuli. Ora, se osservate bene ai piedi delle montagne, più o meno sotto la nota località di Cortina d’Ampezzo, vedrete un piccolo centro urbano che si chiama Longarone.

Sessant’anni fa Longarone era un piccolo paese che voleva diventare una città. Lo abitavano 5mila persone, aveva una scuola elementare, un ufficio postale, una stazione dei pullman, una dei treni; un cementificio, mobilifici, una grande cartiera, una fabbrica di occhiali e una strada, la statale 51 di Alemagna, che i turisti percorrevano soprattutto durante le ferie per raggiungere l'ampezzano e le bellissime Dolomiti.

Ecco, le montagne. Longarone si trova in mezzo a montagne dai nomi strani: Toc, Spiz Gallina, “Orecchie del gatto” dai cui fianchi scendeva la vera ricchezza di quei luoghi, l’acqua, che poteva essere usata per produrre energia elettrica.

A Venezia c'era un’azienda il cui nome, ancora oggi, viene pronunciato sottovoce con terrore e disperazione: era la Sade, Società adriatica di elettricità. La Sade, che realizzava laghi artificiali in cui tenere l'acqua da usare per far funzionare le centrali idroelettriche, negli anni 20 del 900 ebbe un’idea: sbarrare il torrente Vajont, che scorre in una stretta valle in Friuli, proprio sopra il paese di Longarone, costruendo una diga alta 262 metri in grado di creare un lago da 168 milioni di metri cubi d’acqua raccolta da vari torrenti e fiumi della zona. Sarebbe stata la diga a doppio arco più alta del mondo. Un’opera eccezionale progettata da un ingegnere famoso, Carlo Semenza, con l’aiuto del geologo Giorgio Dal Piaz e costruita in appena 3 anni, dal 1957 al 1960. In perfetto orario sulla tabella di marcia si comincia a riempire il grande lago del Vajont.

L'acqua avrebbe sommerso i terreni dei contadini, ma la Sade diede loro dei denari come risarcimento e costruì un ponte per collegare due paesini che sarebbero rimasti isolati: Erto e Casso.

Ma gli abitanti di quei luoghi capiscono subito che qualcosa non va. Quell’enorme “banca dell’acqua” crea frane, fratture nel terreno, cedimenti e persino scosse di terremoto. I residenti prima si spaventano, poi vanno in collera e scrivono lettere al sindaco che, preoccupato, si fa sentire con la Sade.

La grande società veneziana fa finta di nulla e, si scoprirà poi, le persone incaricate di registrare gli eventuali terremoti creati dall'acqua che sale lungo i fianchi delle montagne non lo fa e, peggio, cancella i dati. Alla Società adriatica di elettricità interessa solo riempire il lago della diga al più presto per venderla all'Enel, la società statale appena creata per gestire l'elettricità in tutta Italia. E farsi così ricoprire d'oro.

Nell’ottobre del 1963 la situazione peggiora. Il giorno 6 la strada sul monte Toc è interrotta dalla caduti di massi e le famiglie di Erto e Casso vengono sgomberate in fretta e furia. I tecnici della diga decidono allora di abbassare il livello dell’acqua perché si rendono perfettamente conto che è proprio quell'acqua che potrebbe causare un disastro. Ma è un processo lungo. Troppo lungo.

Tre giorni dopo, il 9 ottobre, gli operai della diga del Vajont vedono che gli alberi del monte Toc si sono sdraiati a terra perché il terreno si muove verso valle. Le crepe diventano sempre più larghe e verso sera il sistema posto a controllo dei movimenti conferma che la frana è inevitabile.

Alle ore 21 le famiglie di Longarone sono a casa e i tifosi sono al bar a guardare in tv la finale di Champions tra Real Madrid e Glasgow Rangers. I Carabinieri bloccano la statale di Alemagna.

Alle ore 22:39 un'enorme frana si stacca tutta assieme dal monte Toc, la montagna che la saggezza contadina sapeva da sempre essere marcia e inaffidabile. 260 milioni di metri cubi di roccia, una quantità immensa, finiscono di colpo nel lago. È come gettare un enorme sasso in un secchio d'acqua pieno zeppo.

Uno tsunami alto più di 250 metri si forma nel lago e una parte, formata da un'onda alta 50 metri, riesce a scavalcare la diga e precipita a valle. Lo spostamento d'aria crea un'onda d'urto fortissima che polverizza persone e animali incontrate sulla sua strada. E l'acqua che la segue distruggerà Longarone e i paesini vicini, rasi al suolo e completamente cancellati. Le stime ufficiali dicono che sotto il fango muoiono 1.910 persone; di queste, 487 sono ragazzi e bambini. La diga, in alto, resta intatta e regge la violenza dell’urto.

La sentenza finale dei processi che si sono celebrati per chiarire le responsabilità del disastro del Vajont arriverà dopo 37 anni.

La diga oggi

La diga non è mai più stata utilizzata e oggi rimane un monumento innalzato ai prodigi della tecnica e all'avidità umana. Per capire quanto è accaduto si può visitare il museo di Erto e Casso. A Fortogna, invece, a pochi km da Longarone, un cimitero con duemila cippi di marmo riporta i nomi delle vittime del Vajont: le date di nascita sono diverse, quella della morte è la stessa per tutti.

Che cosa ci ha insegnato
Le persone che sono state sepolte dall’onda il 9 ottobre del 1963 non sono morte per un evento imprevedibile ma per un disastro provocato da uomini che hanno agito per i propri interessi, per guadagnare ignorando gli avvisi della natura e le proteste dei cittadini. Ciascuno di noi può diventare un ingegnere, un medico, un impiegato, un maestro, un operaio, un agricoltore ma deve agire sempre con onestà.

 Per saperne di più

La coraggiosa giornalista Tina Merlin, che per anni ha seguito le vicende della diga ed è stata anche processata per aver raccontato la verità, ha scritto il libro “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe”.

Per ricordare la tragedia il regista Renzo Martinelli, nel 2001, ha realizzato il film “Vajont. La diga del disonore”. È un film mediocre ma mette bene in sequenza gli eventi che hanno portato alla tragedia.

L’attore Marco Paolini, invece, ha interpretato sulla diga e nei teatri una toccante orazione civile intitolata “Il racconto del Vajont”.

Vi consigliamo anche “La storia di Marinella” di Emanuela Da Ros (Feltrinelli Kids) e la storia a fumetti del Vajont di Francesco Niccolini e Duccio Boscoli (edizioni Becco Giallo).

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