Per il terzo anno consecutivo l’inverno rimane la peggiore stagione per chi fa scuola e per chi la frequenta. Nel 2020 è partito il lockdown che ha tenuto le scuole chiuse per mesi. Nel 2021 il ritorno in classe dopo le vacanze di Natale è stato impossibile in molte regioni che, essendo colorate di rosso, si trovavano obbligate alla didattica a distanza. E quest’anno? In teoria c’erano tutte le premesse per fare della ripartenza nel 2022 il momento di svolta. La quasi totalità degli italiani sono vaccinati, le terapie intensive presentano un tasso di occupazione ancora sotto controllo, sia adulti che minori hanno una rodata esperienza all’uso di mascherine e alla pratica del distanziamento. E invece? E invece, a partire da metà dicembre la crescita dei positivi è diventata esponenziale e subito è partita l’incertezza: ma la scuola rimarrà aperta e in presenza o deve di nuovo convertirsi alla DAD?
INCERTEZZE E CONTRADDIZIONI
Lo scorso anno il Governo imponeva la DAD mentre da tutte le parti si reclamava la riapertura. Quest’anno la situazione si è capovolta. Il Governo fa di tutto per tenere la scuola aperta, mentre moltissimi esponenti del mondo della scuola – tra cui l’Associazione Nazionale dei Presidi – ne implora la chiusura.
Incastrati in questi meccanismi paradossali ci sono milioni di studenti e le loro famiglie. Anche tra loro la confusione regna sovrana. C’è chi sciopera chiedendo che la scuola venga chiusa e chi invece reclama che nessuno più reintroduca la DAD. Dentro a queste contraddizioni, ci sentiamo tutti persi e impotenti. La cosa che fa più male, di questa pandemia, ora non è più il virus e l’infezione che produce. Non siamo più timorosi come lo scorso anno di avere un tampone positivo. Più o meno tutti noi abbiamo un positivo in famiglia o nella nostra cerchia di amici. Sappiamo, che quasi certamente – da vaccinati - al massimo soffriremo di sintomi simil-influenzali. E non ci sembra più accettabile che l’intera nazione, le nostre vite e i bisogni di crescita e apprendimento dei minori ora siano messi continuamente a repentaglio, perché temiamo che le strutture sanitarie non siano in grado di reggere l’impatto prodotto dai nuovi malati.
SERVONO NUOVE REGOLE SUBITO
Noi docenti, noi genitori ci rendiamo conto che l’impatto più temuto, in questa fase della pandemia, è quello derivante da questo clima di incertezza continua. Questo sentirci sospesi – giorno dopo giorno – all’annuncio del numero di tamponi positivi, dei nuovi ingressi nei reparti ospedalieri aveva senso quando non esisteva il vaccino. Ma ora le regole devono cambiare.
Ha fatto bene Draghi a dire “che la scuola chiuderà solo se prima è stato chiuso tutto il resto”. E noi docenti e genitori dovremmo ora fare eco all’affermazione del Ministro. E invece, troppi tra noi, pensano che chiudere le scuole rappresenti il male minore. Ma i nostri studenti non possono fare a meno delle lezioni in presenza, delle relazioni tra pari, dello sguardo attento e competente dei loro docenti. Ormai molti di loro si sono rassegnati a seguire l’onda e lasciare che li porti dove tira la corrente. C’è rassegnazione, impotenza, stanchezza, demotivazione. Tutte parole che con le parole “scuola” e “apprendimento” non dovrebbero avere nulla a che fare. Io non so da che parte si deve cominciare per invertire la rotta. Credo però che un punto fermo ci debba essere; chi fa scuola deve reclamare in tutti i modi che la scuola non deve essere chiusa. Non può essere in prima fila tra coloro che chiedono la didattica a distanza.
Probabilmente le cose da chiedere sono altre: ovvero che i tamponi siano effettuati solo a scopo diagnostico, che chi è asintomatico possa avere accesso ad una vita normale, che se il vaccino è l’unica strategia che permette di non saturare i posti liberi in terapia intensiva, lo stato lo promuova in ogni modo possibile e immaginabile con tutte le strategie in suo possesso. Questo è certamente prioritario rispetto a chiudere le scuole. Che invece deve essere l’ultima delle azioni richieste alla società civile. In questo clima di incertezza e sospensione, oggi ci sentiamo ancora più incerti e sospesi di quanto avveniva lo scorso anno. Non sappiamo più che cosa accadrà il giorno seguente. Dovrò fare un tampone? Potrò andare a scuola? Qualcuno mi potrebbe contagiare? Potrei essere contagioso per qualcuno? Non si può passare la propria vita così. Bisogna andare incontro ad un nuovo approccio all’infezione che prevede che tutti impariamo a convivere con il virus e non a barricarlo fuori dalle nostre vite.
Solo questo ci permetterà di ritornare ad abitare la vita. E quindi anche la scuola.