Compito della scuola è educare nel vero senso della parola educere, cioè tirar fuori le potenzialità da ogni studente. Per far questo è necessario che gli insegnanti abbiano la piena consapevolezza di come funzionano i processi mentali. Ed è proprio per dare questa consapevolezza che Daniela Lucangeli, professoressa di psicologia e sviluppo dell’educazione, scienziata e ricercatrice, ha scritto "A mente accesa. Crescere e far crescere" (2020, Mondadori). Ogni capitolo parte da una sua esperienza personale e si conclude con un approfondimento scientifico. Ne abbiamo parlato con lei.
Professoressa, il suo libro “A mente accesa. Crescere e far crescere”, affronta il problema dell’apprendimento a partire dalle sue esperienze personali. Da dove nasce questa esigenza di raccontare e raccontarsi? Il libro nasce dalla necessità di portare la mia testimonianza a tutti e dall’idea di una scienza servizievole. Mi spiego: spesso le ricerche scientifiche rimangono chiuse nei laboratori e non raggiungono chi invece da quegli studi può trarre vantaggio. Il mio intento è invece quello di educare a utilizzare la scienza in modo da ottenere un cambiamento per se stessi e per i propri figli. Dare informazioni su quello che accade nel corpo e nella mente in determinate situazioni aiuta le persone a essere padrone di se stesse. In questo periodo siamo tutti dominati da sensazioni di ansia, allerta continua, malessere… Conoscere da dove vengono e perché vengono questi stati d’animo aiuta a regolarli meglio. Ecco perché il titolo “A mente accesa”, perché lo scopo del mio lavoro è quello di accendere la consapevolezza di come siamo.
Nel libro parla soprattutto di bambini e ragazzi. Perché è così importante che un adulto tenga la mente accesa quando ha a che fare con i più giovani? È fondamentale che insegnanti e genitori abbiano tutte le informazioni necessarie per poter crescere bene un bambino. Per esempio se un bambino nell’imparare prova paura (del maestro, del genitore…) la sua memoria traccerà non solo l’insegnamento, ma anche quella paura. Il cervello sarà così pieno di alert, non imparerà con gioia. Bisogna imparare come si educa per far star bene.
Nel libro cita uno studio fatto a un campione di 2.800 studenti italiani in cui il malessere verso lo stare a scuola è molto alto: il 27% ha dichiarato di stare così così, il 73% di stare male e di questi ultimi un 60% di non ricordare di essere mai stato bene a scuola. Come si spiega questi dati? Questo succede proprio perché abbiamo ignorato che le nostre memorie non sono solo memorie delle prestazioni di apprendimento, ma soprattutto del sentire, dell’emozione. Se noi studiamo con ansia, tracciamo nella memoria ansia. Quindi ogni volta che noi recuperiamo dalla nostra memoria ciò che abbiamo studiato recuperiamo anche l’ansia ed ecco che l’ansia dice “scappa via, questa cosa non va bene per te” e mi allontana dallo studio. Il fatto che la scuola non conosca i circuiti delle memorie emozionali (sviluppati in milioni di anni proprio per avvertire la nostra specie dei possibili pericoli), fa sì che gli studenti senza rendersene conto stabilizzano memorie sbagliate associando lo studio a un pericolo da fuggire. L’errore fatto negli ultimi anni è pensare che la memoria sia soltanto prestazioni cognitive e se non cambiamo subito quest’idea continueremo ad avere generazioni di ragazzi che vivono in costante stato di allerta.
Che cosa dovrebbe fare allora la scuola per far star bene i ragazzi? Chi insegna deve avere consapevolezza di come funziona la mente umana, altrimenti la guida male. Non chiedo una scuola semplice, né sto dicendo di dare a tutti 10 così sono più felici. No, io sto dicendo che un docente quando insegna invece di far sentire l’ansia della verifica deve far sentire l’interesse per ciò che sta spiegando, suscitare emozioni che portino gli studenti a pensare “il mio insegnante non è un giudice, ma è il mio magister, è lui che mi guida e tira fuori il meglio di me”. Il sistema scolastico così come è oggi nella maggior parte delle scuole è sbagliato. È un sistema chiuso: “Io ti insegno, tu apprendi, poi verifico” è un potere giudiziario, non educativo.
Il malessere maggiore si verifica durante l’adolescenza. Come si può intervenire in questa fase? L’adolescenza è una fase delicatissima. In quest’ultimo periodo poi c’è stato un incremento dei disturbi dell’umore nelle forme peggiori: depressive e violente, davvero molto preoccupante. Questa situazione è sotto gli occhi di tutti e non possiamo più ignorare i bisogni di alcune fasce evolutive, abbiamo il compito morale di fare qualcosa. Se la scuola continua semplicemente a ingozzare i ragazzi di nozioni e le famiglie a delegare, si toglie a questa generazione ogni possibilità di futuro.
La scuola deve riconoscere il suo fine, che non è riempire il cervello di informazioni: il fine deve essere far maturare. L’adolescenza è il fondamentale passaggio dall’eteronomia (la massima dipendenza dagli altri) all’autonomia. Lo scopo della scuola deve essere quindi quello di far maturare la capacità di intelligenza divergente, di intelligenza motivata, di intelligenza relazionale, di intelligenza emozionale. La scuola deve riprendere il fine educante nel suo significato più profondo di educere: portar fuori le qualità.
Come si fa in concreto a rimettere al centro della scuola queste priorità? In una formazione che porta consapevolezza. Per questo l’ho chiamata scienza servizievole e sono passata a scrivere libri; per questo passo 20 ore davanti ai video a fare diffusione attraverso i social, perché cerco di portare agli insegnanti questa riflessione di consapevolezza.
E la famiglia? Madre e padre sono le figure che la natura ci ha dato per tirare fuori la parte migliore di noi. Non bisogna colpevolizzarli, non sono capaci, non sanno, per quello è necessario alfabetizzarli, non possiamo continuare a dire è colpa della famiglia o che è colpa della scuola. Qui si tratta di dire: spieghiamo a ciascuno cosa c’è da fare. Quando un ragazzo si sente non compreso sta male tutto e diventa infiammazione, cortisolo… non possiamo staccare dolore fisico e mentale questo la scienza lo sa. Vogliamo un futuro di figli depressi?
Come si fa ad aiutare bambini e ragazzi ad abbandonare l’ansia e ad aprirsi alle loro potenzialità? Tutto ciò che ha a che fare con la mente e i circuiti della memoria non si guarisce con una pillola, ma richiede tempo e pazienza per modificare il circuito perché bisogna determinare altre memorie. Ecco quindi che l’educazione deve diventare l’elemento fondamentale. Questo lavoro potrebbe farlo una buona scuola con insegnanti consapevoli.