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Carnevale: etimologia e origini della festa

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Carnevale: etimologia e origini della festa
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Partire dal significato della parola "Carnevale" può diventare per i ragazzi un’occasione di riflessione non solo linguistica ma anche antropologica e sociale

Diversi studi dimostrano che il desiderio e la gioia di esplorare stimolano nei bambini e nei ragazzi l’apprendimento, attivando il pensiero critico. Il motore principale di questo processo è la curiosità; essa induce a porre domande, a ricercare significati. Ecco che esplorare l’origine dei termini, suscita interesse nei confronti del linguaggio e di questi straordinari strumenti che sono le parole; si tratta infatti di un’attività che stimola processi associativi grazie all’accostamento graduale di elementi storici e linguistici. Nella ricorrenza del Carnevale, ad esempio, partire dal significato del nome stesso, può diventare per i ragazzi un’occasione di riflessione non solo linguistica ma, più ampiamente, antropologica e sociale.

Carnevale, l'etimologia della parola

Esistono diverse ipotesi riguardanti l’origine del nome Carnevale. L’etimologia corrente risulta essere ancora il basso latino carne(m) levare, alludendo ai giorni che precedono la Quaresima, periodo di digiuno nelle religioni cristiane. Anche il sinonimo antico carnasciale avrebbe un'origine simile: carne(m) laxare, riferito al divieto di mangiare carne in Quaresima, subito dopo il Martedì grasso.

Come sottolinea il linguista Clemente Merlo nel suo saggio I nomi romanzi del Carnevale (1911, 1934), secondo questa spiegazione l’idea insita nel Carnevale non sarebbe tanto il godimento della festa, quanto la privazione, ossia il digiuno dalla carne richiesto dalla Quaresima. Si accosta bene a questa riflessione la descrizione che Carla Poesio ha fatto di Lotta tra il Carnevale e la Quaresima, quadro di Pieter Brueghel del 1559: «Ben presto la Quaresima diventò un personaggio come Carnevale. È una vecchia brutta, lunga e stecchita che col Carnevale si incontra, o meglio si scontra, perché sono completamente diversi l’uno dall’altra. Uno ama la gioia, l’altra la mestizia; uno apprezza la buona tavola, l’altra prega e si lamenta» (Poesio C.,Vivere il Carnevale, Ed. della speranza, Firenze, 1984).

Carnevale, una festa di naviganto?

Il linguista Mario Alinei ci invita a fare un passo indietro, precisamente al rito del Navigium Isidis. Le origini del nome Carnevale sarebbero da ricondurre al carrus navalis ossia il carro della dea Iside, portata in processione come patrona dei navigatori su un battello a ruote, tra le danze e i canti della popolazione. (Alinei M., "Carnevale", dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris, in Quaderni di sematica, Vol. 34., n. 1, 2013, pag. 9-37).

Il culto isiaco si teneva nelle città marittime e fluviali il 5 marzo (navigium Isidis) quando si riapriva la navigazione. I rituali cominciavano all’alba: il carro, custodito durante l’inverno nel tempio, veniva trasportato in mare, o sul fiume, per festeggiare la dea e inaugurare la nuova stagione della navigazione.

A ben pensarci i più famosi Carnevali, con i loro "carri navali" allegorici, sono quelli che si festeggiano, o si festeggiavano, in città sul mare, come Viareggio, Venezia e Rio de Janeiro, o su grandi fiumi, come Colonia e Basilea sul Reno, e Roma sul Tevere. (Di Cocco G., Alle origini del carnevale. Mysteria isiaci e miti cattolici, Ed. Pontecorboli, Firenze, 2007). È Lucio Apuleio, ne Le Metamorfosi a regalare una dettagliatissima descrizione della festa del Navigium Isidis.

Ritroviamo in essa la cura per i travestimenti che venivano adottati in quell’occasione: «Ed ecco che lentamente cominciò a sfilare la solenne processione. La aprivano alcuni riccamente travestiti secondo il voto fatto: c'era uno vestito da soldato con tanto di cinturone, un altro da cacciatore in mantellina, sandali e spiedi, un terzo, mollemente ancheggiando, tutto in ghingheri, faceva la donna: stivaletti dorati, vestito di seta, parrucca. C'era chi, armato di tutto punto, schinieri, scudo, elmo, spada, sembrava uscito allora da una scuola di gladiatori; e non mancava chi s'era vestito da magistrato, con i fasci e la porpora e chi con mantello, bastone, sandali, scodella di legno e una barba da caprone, faceva il filosofo, due, poi, portavano delle canne di varia lunghezza, con vischio e ami, a raffigurare rispettivamente il cacciatore e il pescatore…».

Come ricorda Mario Alinei, nel periodo delle origini del Cristianesimo la festa, che aveva ancora il nome di Navigium Isidis, aveva conosciuto l'opposizione delle prime autorità cristiane. Opposizione che aveva fatto sì che in Italia la festa cessasse ufficialmente di essere celebrata nel 416, per continuare però a livello popolare con il nome di Carnevale. Nei secoli successivi il Carnevale diventò una festa riconosciuta, organizzata e regolamentata anche dalle autorità.

Il Carnevale è un rito popolare

È fin qui evidente come l’etimo del nome Carnevale rappresenti solo l’inizio di uno sfaccettato percorso all’interno della dimensione storico-sociale di questa ricorrenza. Basti pensare all’analisi che di essa ha fatto Michail Bachtin nella celebre dissertazione L'opera di Rabelais e la cultura popolare: egli vede nel Carnevale la massima espressione della ritualità popolare, una forma di spettacolo molto complessa, polimorfa, che, pur avendo una base comune tra i popoli, si esprime in sfumature diverse a seconda dei luoghi, delle mentalità, delle epoche (Bachtin M.M., 1965).

E la radice comune è costituita da un complesso di forme simboliche concrete che hanno alla base ancora una volta il linguaggio, sotto forma di canzoni e filastrocche. Secondo Bachtin, le voci, le risa e il linguaggio popolare sono i mezzi attraverso i quali si realizza il ribaltamento dei canoni usuali, il livellamento dell'ordine delle cose.

Le parole rappresentano pertanto una forma di espressione diretta della tradizione di un popolo. In ciascuna di esse è racchiusa la storia degli uomini attraverso le generazioni.