A come antropocene. B come biodiversità. C come cambiamento. Ecco il punto di partenza da cui partire per riflettere sul ruolo che ognuno di noi può giocare per costruire un futuro più sostenibile: come individui, come gruppo classe e, soprattutto, come cittadine e cittadini responsabili.
La popolarità del termine Antropocene si deve a Paul Crutzen, Nobel per la chimica: indica l’epoca dominata dalla nostra specie che, in particolare da due secoli a questa parte, in pratica dalla rivoluzione industriale, sta perturbando l’ambiente facendo schizzare come non mai i gas serra e contribuendo così, in modo determinante, ai cambiamenti del clima con tutto ciò che ne consegue: fusione dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, alterazione degli ecosistemi e perdita di biodiversità…
Già, perché la biodiversità - termine coniato dall’evoluzionista Edward O. Wilson e che indica la ricchezza di vita sulla terra (piante, animali, microrganismi, dai geni agli ambienti in cui vivono) - è sempre più a rischio.
«I sistemi viventi della Terra nel loro insieme sono stati compromessi» spiega Elizabeth Maruma Mrema delle Nazioni Unite. Ed è ormai chiaro che «più l'umanità sfrutta la natura in modi insostenibili, più miniamo il nostro stesso benessere, la nostra sicurezza e la prosperità futura». Da qui l’urgenza di un cambiamento e di andare oltre un modello di sviluppo che, sul piano ambientale, economico e sociale, si è rivelato insostenibile.
Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai 193 Paesi delle Nazioni Unite, con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, l’Agenda 2030 indica proprio il piano d’azione per attuare il cambiamento e garantire un futuro migliore al pianeta e alle persone che lo abitano: eliminare fame e povertà, promuovere società pacifiche e inclusive, proteggere le risorse naturali. Un traguardo, da raggiungere appunto entro il 2030, che deve impegnare tutta la società: istituzioni, imprese, centri di ricerca, università, famiglie e, naturalmente, la scuola.
«Sono 17 traguardi interconnessi tra loro» commenta il filosofo della biologia ed evoluzionista Telmo Pievani, sottolineando come lavorare in classe sugli Obiettivi dell’Agenda 2030 possa essere una palestra di creatività, un’occasione per potenziare attività laboratoriali e percorsi interdisciplinari.
Partiamo allora dagli obiettivi 14 e 15 che riguardano la protezione della biodiversità e ci chiedono di salvaguardare l’integrità degli ecosistemi, marini e terrestri.
«La perdita di biodiversità - spiega il professore di Filosofia di scienze biologiche dell’Università di Padova - si ripercuote su povertà (1), fame (2), crescita economica (8), e mette a rischio la salute a livello globale (3). L’attuale pandemia ne è un ottimo e purtroppo terribile esempio: se infatti non ci impegniamo a perseguire l’obiettivo 15, continuando a distruggere le foreste e a cacciare illegalmente, compromettiamo la nostra salute rendendo più probabile il contatto con animali esotici, portatori di virus pericolosi, e il cosiddetto salto di specie, con conseguente crisi sanitaria, economica e sociale». Insomma, distruggere gli ecosistemi è una pessima idea: rende anche noi più vulnerabili (significa aumentare il contatto con agenti patogeni). Motivo per cui impegnarsi nella salvaguardia dell’ambiente significa difendere l’umanità. Del resto, la Terra è la nostra casa e non abbiamo un pianeta di riserva.
Sul piano didattico, continua Pievani, la biodiversità si connette a tutte le discipline. «Penso a storia e geografia: usando le mappe si può lavorare sulla biodiversità dal punto di vista spaziale, biogeografico, e interrogarsi sul perché la maggiore biodiversità si concentri ai Tropici e, d’altro canto, perché il Mediterraneo sia un hotspot di biodiversità. Per proseguire e riflettere sul perché dove c’è tanta biodiversità biologica ci sia, quasi sempre, anche una grande diversità culturale: di popoli, lingue, dialetti. L’Italia ne è un esempio». E così ritrovarsi a leggere Gianni Rodari, ma anche Wolfgang Goethe o Emily Dickinson, per parlare di coscienza ecologica. Per poi, crisi sanitaria permettendo, riscoprirsi a esplorare parchi, aree protette, orti botanici, fattorie didattiche e, perché no, calarsi nei panni di un apicoltore per un giorno, con una curiosità e una consapevolezza nuova.
Deve essere infatti chiaro che non possiamo più permetterci di essere la specie invasiva che stermina le altre con la pesca e la caccia indiscriminate, distrugge habitat ed ecosistemi con l’agricoltura intensiva, la deforestazione, lo sversamento in mare di tonnellate e tonnellate di rifiuti e in atmosfera tonnellate e tonnellate di CO2, e favorisce la diffusione di specie aliene, cioè invasive non autoctone, attraverso i propri spostamenti o il contrabbando di specie esotiche. Non possiamo essere gli artefici della sesta estinzione di massa.
Per supportare la diversità della vita sul nostro pianeta è necessario dunque, e questo è inequivocabile, ridurre l’impatto dei nostri sistemi di produzione e consumo di cibo ed energia, rallentare lo sfruttamento delle risorse.
L'economista Antonio Massarutto nel libro Un mondo senza rifiuti? (Il Mulino) accompagna a conoscere il valore dell’economia circolare. Tutti gli esseri viventi producono scarti, che ritornano nel ciclo naturale della vita e dei suoi processi chimici e fisiologici. Homo sapiens, invece, produce rifiuti: cose di cui la natura non sa cosa farsene e che addirittura interferiscono con i suoi processi. «Al traguardo dei rifiuti zero non arriveremo mai, ma dobbiamo seguire la bussola dell’economia circolare che segna in modo chiaro la direzione di marcia da intraprendere senza indugi. Per compiere passi decisivi verso una riduzione delle emissioni di gas serra e un contenimento dei cambiamenti climatici».
Perché, come illustra, recuperare materia ed energia dai rifiuti può dare un contributo fondamentale al raggiungimento dell’obiettivo di ridurre, entro il 2030, le emissioni di CO2 rispetto al 1990. Prima si puntava a una riduzione del 40%, lo scorso settembre la Commissione ha proposto di elevare l'obiettivo ad almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990.
Secondo Massarutto, avremo ancora bisogno di pattumiere, tante e di diversi colori, ma dovremo eliminare i cosiddetti sprechi. Nel futuro, infatti, non c’è posto per Leonia, una delle Città invisibili di Italo Calvino, «così drogata dal benessere da non accorgersi delle montagne di rifiuti che la circondano e presto la schiacceranno. Le città del futuro, infatti, dovranno imparare ad alimentarsi dei propri rifiuti». In altre parole, dobbiamo far funzionare la nostra economia come quella degli altri esseri viventi: «Dobbiamo fare in modo cioè che i i rifiuti ridiventino scarti, nuova materia, così che da ogni cosa ne rinasca un’altra».
Anche dalla plastica. O almeno da alcune plastiche che, se opportunamente raccolte e selezionate, possono essere riciclate: il PET per esempio, il polimero con cui sono realizzate le bottiglie di acqua e altre bibite. Molta però, troppa plastica finisce in mare: almeno 8 milioni di tonnellate ogni anno, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate secondo uno studio pubblicato su Science.
E così gli oceani sono invasi dalla plastica: c’è plastica in superficie e sui fondali, e può restarvi anche per qualche centinaia di anni prima di degradarsi completamente, alterando così l’equilibrio degli ecosistemi e la biodiversità marina. Come raccontano, per esempio, Piero Martin e Alessandra Viola nel bel libro Trash. Tutto quello che dovreste sapere sui rifiuti (Codice Edizioni), l’oceano Pacifico - malgrado sia enorme (ha una superficie di circa 162 milioni di km quadrati) e contenga più della metà dell’acqua allo stato liquido presente sul pianeta - non riesce a nascondere la presenza dei rifiuti. Un’incredibile e crescente quantità di rifiuti. Plastica, innanzitutto. Reti da pesca, bottigliette, tappi, buste, ma anche frammenti piccolissimi (inferiori ai cinque millimetri): le famigerate microplastiche.
Un chiaro esempio - sostiene Sandro Carniel, ricercatore dell’Istituto di scienze marine del Cnr nel libro Oceani. Il futuro scritto nell’acqua (Hoepli) - di come anche “pochi” rifiuti prodotti da un individuo, se moltiplicati per miliardi di individui, possano diventare troppi, anche per l’intero pianeta e, finendo in mare, possano causare la scomparsa di migliaia di tartarughe, delfini, cetacei e altri organismi marini. «In molti casi le plastiche galleggianti vengono ingerite, scambiate per prede da consumare, in altri invece rappresentano delle trappole mortali da cui è difficile liberarsi».
Ma la plastica non è l’unico nemico di mari e oceani: pesca indiscriminata, acidificazione, riscaldamento ne stanno mettendo a repentaglio la salute. E come ci mette in guardia l’oceanografa statunitense Sylvia Earle, «Senza blu, niente verde». Senza oceani, cioè, non avremmo un pianeta che funziona. Perché l’oceano è vivo ed è vita. È alla base del sistema ecologico della Terra.
Lo racconta Chiara Carminati nel libro La signora degli abissi (Editoriale Scienza) e lei stessa nell’avvincente documentario Mission Blue. Il suo messaggio non è di rassegnazione ma di responsabilizzazione: «abbiamo la possibilità di rimediare e dobbiamo farlo adesso».
Se Sylvia Earle, con la sua instancabile determinazione, testimonia che non è mai troppo tardi per proteggere mari e oceani, Greta Thunberg ci insegna che nessuno è troppo piccolo per fare la differenza.
«Partendo da scelte personali, quali il veganesimo, il rifiuto di muoversi in aereo per le eccessive emissioni di CO2, la scelta di utilizzare solo vestiti di seconda mano, scelte fondate sui dati e sugli avvertimenti degli scienziati che per lustri sono rimasti inascoltati - racconta Annalisa Corrado nel libro Le ragazze salveranno il mondo (People) - l’attivista svedese è riuscita a generare un’onda anomala che ha attivato milioni di persone e le ha fatte scendere in strada, mese dopo mese, in ogni luogo del pianeta». A reclamare giustizia climatica e difesa dell’ambiente.
«Quando la vogliamo? Ora» urlano come fossero un’unica voce i milioni di ragazzi che dal 2019 scendono in piazza per scioperare conto il clima. Greta nel frattempo ha compiuto 20 anni e continua ad avere a cuore il prezioso equilibrio della natura, così come centinaia di migliaia di persone, in tutto il mondo, continuano a supportarla chiedendo un intervento, subito, per scardinare l’attuale modello di sviluppo, che divora il pianeta e nega un futuro, per lo meno dignitoso, a una porzione sempre più grande della popolazione mondiale.
Perché «giustizia climatica e ambientale e giustizia sociale - conclude Corrado - sono le due facce della stessa medaglia, sono obiettivi impossibili da scindere e affrontare singolarmente». Avanti tutta, dunque, con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Imparare divertendosi. Questo l’obiettivo del gioco da tavolo Go Goals! che, come una sorta di gioco dell’oca, può aiutarvi ad affrontare in classe gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e far comprendere quello che tutti noi possiamo fare, ogni giorno, per raggiungere il traguardo dell’Agenda 2030: proteggere il pianeta e assicurare benessere a tutti e tutte. Pensato per bambini e bambine di 8-10 anni, il gioco è scaricabile gratuitamente (go-goals.org): tabellone, dado, pedine, schede con le domande. Poi basta stampare e seguire le istruzioni per iniziare a “giocare a costruire il futuro”, da cittadini responsabili. Ideato e realizzato dal Centro regionale di informazione delle Nazioni Unite, può rappresentare un modo ludico per conoscere gli obiettivi dell’Agenda 2030, riflettere su quali comportamenti mettere al bando perché non sostenibili e verificarne l’apprendimento. Disponibile anche in inglese, tedesco, spagnolo, francese, sloveno… può essere proposto anche alla secondaria di primo grado come strumento per l’apprendimento integrato di contenuti disciplinari in lingua straniera.
Utilissimi anche il documento 170 azioni quotidiane per trasformare il mondo, disponibile per scoprire come contribuire al raggiungimento di ciascuno dei 17 Obiettivi di sviluppo, e Global Goals Kids’ Show Italia che avvicina i più piccoli alla cultura della sostenibilità attraverso un cartoon. Entrambi disponibili sul sito dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).
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