Mai come in questo momento, il tema del benessere scolastico è tornato a occupare una posizione centrale fuori e dentro le aule. La pandemia ha infatti acceso i riflettori sulle criticità che coinvolgono nel lungo periodo tanto gli studenti quanto gli insegnanti, i quali, entrambi, nell’ultimo anno scolastico, hanno dovuto affrontare nuove forme di disagio, talvolta accompagnate da veri e propri burnout.
Ansia da verifica e bullismo La preoccupazione nei confronti della salute e del benessere non è tuttavia un tema nuovo per le scuole. Già nel 2015, stando ai risultati descritti nel terzo volume dell’indagine OCSE-PISA, gli studenti quindicenni che stavano completando il ciclo d’istruzione obbligatoria manifestavano ansia e disagio in situazioni legate al rendimento scolastico. Nel dossier Scuola e benessere degli studenti: l’influenza dell’ansia sulle skills emotive e sociali di Francesco Melchiori è riportato che «rispetto alla media OCSE del 37%, il 56% degli alunni italiani ha dichiarato di diventare particolarmente nervoso nel momento in cui si prepara una verifica, e di continuare ad esserlo (il 70% a fronte del 56% della media OCSE) anche quando si è adeguatamente preparati». L’ansia era legata non soltanto agli aspetti del rendimento: «Circa il 19% degli studenti ha riferito di essere stato vittima di bullismo (di qualsiasi tipo) almeno in media qualche volta al mese».
La pandemia ha peggiorato il clima Secondo il sondaggio Insegnanti e pandemia 2020 condotto da Maria Cristina Matteucci (Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna), sono stati la mancanza di linee guida precise e chiare, l’eccessivo carico di lavoro e senso di responsabilità percepita, i bassi livelli di motivazione degli studenti, le difficoltà legate alla natura della didattica digitale e l'inappropriatezza della valutazione numerica a minare maggiormente il clima in classe e a compromettere la qualità dei rapporti interpersonali, con conseguenze sul disagio giovanile e la dispersione scolastica.
A fronte di tali criticità, è importante ricordare l’emanazione del protocollo del MIUR (2020) e del Protocollo d’intesa tra MIUR e Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (2020), attraverso i quali è promosso l’intervento degli psicologi negli istituti di ogni ordine e grado. La nuova visione, promossa anche dal Piano Scuola Estate 2021, chiede alle scuole di orientare le proposte didattiche e aggregative maggiormente verso l’educazione del benessere emotivo, fondamentale per “recuperare” e rafforzare le competenze relazionali. Ma cosa significa per insegnanti e studenti “stare bene”, insieme, in classe?
Gli ingredienti del benessere a scuola Qualità, accoglienza, inclusione, auto-efficacia percepita, clima positivo, partecipazione, condivisione, dialogo. Questi sono solo alcuni dei termini e delle espressioni con i quali “fa rima” la parola benessere. «Più ci si addentra nel tentativo di fornire una definizione di questo concetto, più la meta sembra lontana». Francesca Guma, nel saggio Benessere. Una questione morale (Le Monnier Università, 2020) ripercorre la storia di questo termine tanto vasto e ambiguo quanto necessario.
Il benessere è il risultato di molte variabili che riguardano un contesto di natura relazionale, quale il sistema-scuola, a partire proprio dall’aula, che per Patrizia Selleria e Simone Romagnoli, rappresenta il luogo in cui si crea il benessere, in quanto «accoglie tutte le diversità e sostiene il pieno sviluppo di ogni alunno» (In classe. Costruire e gestire il benessere a scuola, Carocci 2019).
Solo quando il clima di classe è regolato da norme, obiettivi e ruoli condivisi, il gruppo può veicolare e stimolare le competenze cognitive, emotive e sociali degli alunni. Un mancato riconoscimento delle relazioni e dei bisogni può portare infatti a un’integrazione problematica, incidendo non solo sul compito di apprendimento, ma anche sulla motivazione e sull’auto-efficacia percepita in classe.
I tre bisogni fondamentali Un buon sinonimo di benessere sembra essere dunque ordine, un ordine capace di soddisfare anche i tre bisogni fondamentali del benessere psicologico dell’individuo: «Io lo so fare (sentirsi competenti), ho scelto io di farlo (sentirsi autonomi), l’abbiamo fatto insieme (sentirsi vicini agli altri)».
Anche il digitale può avere un ruolo in questo processo, a patto che sia accompagnato da un’adeguata alfabetizzazione emotiva e affettiva. «Le sollecitazioni e stimolazioni che lo schermo mette a disposizione, rendendo i ragazzi meno disposti a tollerare la frustrazione e la fatica necessaria per svolgere attività meno eccitanti e divertenti, quali per esempio quelle connesse allo studio», così come le sfumature dell’odio in rete e la scarsa consapevolezza del proprio navigare online, ma allo stesso tempo la potenzialità creativa del mezzo e la necessità di formare figure professionali sempre più competenti e aggiornate sono solo alcuni dei motivi che secondo Marco Gui, curatore del saggio Benessere Digitale a scuola e a casa (Mondadori Università, 2019), devono spingere il sistema scolastico a considerare la media literacy un’alleata e, ora come non mai, una condizione indispensabile per il benessere delle nuove generazioni.