In una delle scuole dove ho insegnato il merito era protagonista. Veniva misurato con prove oggettive uguali per tutti i bambini. Dalla direzione arrivavano verifiche, studiate a tavolino da solerti maestre, con domande identiche per gli studenti della terza X, Y o Z. Il docente meritevole, agli occhi della dirigente, doveva aver svolto il programma esattamente dov’erano arrivati tutti gli altri. Tutti dovevano aver fatto entro ottobre la Valle d’Aosta, il Piemonte e la Lombardia. Il bambino meritevole, per guadagnare un bel voto, doveva studiare in modo da rispondere esattamente quello che pensava la maestra, facendo la crocetta al posto giusto in una sorta di scuola a quiz dove tutto si misura incrociando la domanda giusta con la risposta giusta. Fa niente se Luigi a casa non aveva mamma e papà che lo potevano seguire. Fa nulla se Marco non aveva nel salotto gli stessi libri della famiglia di Lucia. E chissenefrega se Fatima era arrivata da due mesi e forse ne sapeva più del Marocco che della Valle d’Aosta.
Il merito è oggettivo. Il merito non fa distinzioni. Il merito premia i meritevoli. E gli altri? I non meritevoli (ammesso che esistano)? Peggio per loro: li lasciamo indietro. Li lasciamo all’ultimo banco. In quella scuola funzionava proprio così e Marco ogni volta che c’era una verifica non rientrava tra i meritevoli. Marco a casa non aveva papà perché in carcere. Marco non aveva nemmeno la mamma, impegnata al lavoro ma al merito questo non interessa. Il merito non può certo guardare in faccia a nessuno, guarda all’oggettività, alla prova.
Quando sono arrivato in quella scuola dove le risposte alle verifiche erano scientificamente calcolate con tanto di percentuali dalle maestre meritevoli, ho detto alla bidella di buttare quelle verifiche. Con Marco ho fatto la cosa più scontata di questo mondo: gli ho dato fiducia. Son partito dal fatto che meritava la mia fiducia di là del merito di aver studiato o meno, bene o male, i Romani. È bastato questo semplice gesto per scatenare in Marco la voglia di studiare, di aprire il libro, di mostrarmi che sapeva, che si meritava la mia attenzione, il mio ascolto.
È andata così: pian piano Marco ha iniziato a acquisire fiducia, a sentire che ai miei occhi era meritevole. Non serviva un metro per misurare; nemmeno le percentuali. Bastava guardarsi negli occhi. Marco ha iniziato a studiare e la mamma mi ha detto che si alzava la mattina presto per arrivare a scuola preparato.
Eppure ciò che ho fatto era immeritevole agli occhi della dirigente che avrebbe voluto valutare il merito dell’immeritevole – a sua e loro detta – Marco “colpevole” di non essere seguito da mamma e papà. E allora viene spontanea una domanda: a che cosa serve 'sto benedetto merito? Ai meritevoli? Non ne hanno certo bisogno.
Mi tornano alla mente le parole in “Lettera a una professoressa” ove nel paragrafo cultura umana si scrive: “A lei rombano sotto le finestre mille motori al giorno. Non sa chi sono né dove vanno. Io so leggere i suoni di questa valle per chilometri intorno. Questo motore lontano è Nevio, che va alla stazione un po’ in ritardo. (…). Lei se parla con un operaio sbaglia tutto: le parole, il tono, gli scherzi. Io so cosa pensa un montanaro quando sta zitto e so la cosa che pensa mentre ne dice un’altra”.
E per gli insegnanti cos’è sto benedetto merito? Come si misura il merito del docente che la domenica anziché stare a correggere compiti e compiti va alla mostra di Keith Haring e compra del materiale per spiegarlo meglio ai bambini? Come si misura il merito del docente che quando va in vacanza visita il campo di concentramento di Birkenau anziché stare in un villaggio turistico per quindici giorni? Come si misura il merito del docente che ha la libreria piena di testi di Mario Lodi, Manzi, Montessori, Zavalloni anziché di “Cinquanta sfumature di…”? È meritevole il maestro che non fa rumore? Quello che ubbidisce al preside e distribuisce zitto zitto le mascherine “mutanda” che nessuno indossa perché il dirigente ha dato questo ordine o è meritevole il docente che prova a bloccare questo spreco protestando con il suo preside? Ecco, che bella parola il merito! In bocca a chi è lontano dai banchi e dai bambini sta benissimo.